giovedì 17 ottobre 2013

Il camaleonte, prototipo della verità sfuggente.

La scelta di Mario Monti di abbandonare la politica militante nella quale si era tardivamente imbarcato, per esserne sconfessato, ha il senso di un aristocratico diniego all'opportunismo dei carrieristi e marca la differenza fra il suo status di tecnico, di gran commis dello Stato e delle istituzioni europee, oltreché di senatore a vita, con i continui trasformismi e riposizionamenti dei mestieranti della politica. Fa piacere che abbia avvertito l'insostenibilità dell'apparentamento a Pierferdinando Casini che, comunque, in politica sopravviverà molto meglio di lui. Monti riteneva e ritiene di valere di per se, di avere titolo e facoltà di rivestire ogni incarico di potere e responsabilità senza esserne investito da alcuno, soprattutto dalle plebi ignoranti che votano, dimentico che anche nelle prima ed unica, onnicomprensiva occasione di investitura nazionale, era stato Giorgio Napolitano a nominarlo, sicuro di fare cosa gradita ai poteri forti europei che avevano provocato la caduta, in tutti i sensi, di Berlusconi e, tramite Monti, il commissariamento dell'Italia. A questi poteri forti, di cui era stato partner per quindici anni in sede comuniatria e agli altri poteri finanziari statunitensi e transnazionali ( Gruppo Bilderberg ), Monti si sentiva affine, riconosciuto e gratificato. Ma la democrazia, soprattutto quella latina e italiana in particolare, è cosa mediocre, clientelare, opportunista e di sensazioni immediate, pur in un posizionamento strategico legato a costumi ben presenti e, sempre, a robusti gruppi o apparati d'interessi. E' quanto fa parte della genetica casiniana. Sentendosi scavalcato, Mario Monti ripiega nell'indistinzione del gruppo misto. L'età della pensione l'ha raggiunta: si è trattato di una scelta o di un dimissionamento? L'avvocato simpatizzante ( appartiene agli ambienti dei fascisti romani ) di Erik Priebke ne è stato l'intervistatore nel documento filmato con il quale l'ufficiale nazista riassume alcune sue sensazioni sull'eccidio per rappresaglia di cui era stato coprotagonista. Ne è stata messa in rete solo la parte più storicamente fondata, mentre è stata solo oralmente riassunta quella negazionista e revisionista, prossima, negli ambienti cattolici, alla confraternita di Econe che ne ha celebrato i funerali nella cittadina di Albano laziale, medaglia d'argento della Resistenza, in un territorio nel quale i fascisti sono stati e sono tutt'ora forti, rappresentativi e violenti. Lo scontro, simbolico e fisico, che si è svolto nella cittadina dimostra che sulle dicotomie, profonde e ideologicamente irriducibili, è stata sovrapposta una patina( forse due o tre ) di pseudo convivenza, tanto pseudo che la violenza contrapposta, ma specifica, non uguale, è sempre pronta a riproporsi a misura della rispettiva forza. Su questa cesura storica, rimossa, ma non risolta, si sono saprofiticamente adagiati tutti gli opportunisti della politica nazionale, ora inclinando ( soprattutto ) a destra, ora ammiccando a sinistra, fino a trovarne complicità ed ora desiderio di mimetica sostituzione, nelle forme politiche più rassicuranti per i poteri fino ad ora tutelati dalla destra, senza però tener conto del rifiuto di gran parte della base. Nella parte rappresentata del film, Priebke dice cose storicamente fondate, piaccia o dispiaccia: I GAP comunisti romani organizzarono l'attentato di via Rasella contro un distaccamento di Schutzen, soldati altoatesini, quindi di nazionalità italiana ma complici dei nazisti, incerti sul loro destino post bellico: ancora italiani o assorbiti nel grande crogiolo culturale tedesco, quindi, di nuovo austriaci, come fino al 1918? Già in questa ambiguità si adagia tanta della propaganda pseudo storiografica contemporanea, relativa a quegli eventi, ma la citazione è vera. Che i GAP sapessero della già praticata, susseguente rappresaglia è certo; che sperassero in un'insurrezione della popolazione romana è, invece, opinabile. La Casa regnante in fuga, le istituzioni nazionali senza direttive, commissariate, strumentalizzate o complici, secondo il calcolo e/o la preferenza di ciascuna di esse, il silenzio imbarazzato delle gerarchie vaticane. Non c'era, a Roma, in quei momenti nessuna presenza istituzionale italiana. Le autorità militari e di polizia della piazza funsero da consulenti per la scelta dei sacrificandi e, sui criteri di scelta, grava una cappa di omertà. Kappler, che fuggirà, moribondo, dal Celio, nella valigia della moglie Annelise con i buoni uffici del Ministero della difesa italiano ( Lattanzio, subito dopo, si dimise )ordinò ad un pari grado di Priebke, Schultz, di comandare le fucilazioni e altre esecuzioni sommarie e fece intimare ai tedeschi titubanti che avrebbero potuto sistemarsi subito nelle file degli esecutandi. Anche questo è realistico. L'avvocato "rivela" che il convertito ( era luterano ) - ma non per questo pentito - Priebke si sarebbe confessato e comunicato di frequente durante il suo secondo "soggiorno" romano e introduce nel documento la sua dichiarazione del 1994 al Tribunale militare che lo condannò all'ergastolo ( domiciliare ). Adesso la salma è in attesa di essere accolta da qualcuno; tutti negano che vi siano trattative in atto, ma è impensabile che il corpo possa rimanere indefinitamente nel frigorifero di un aeroporto militare, dal quale invece decollerà ( nottetempo? ) verso il suo Paese natale. Una riedizione ipocrita e purtroppo tanto italiana della "liberazione" in extremis del comandante di Priebke, il trafugatore di opere d'arte Kappler, verso una nazione che, in alcune delle sue componenti ha accantonato e nascosto uno spirito modificato ma analogo a quello di allora, rivendicato orgogliosamente dal vecchissimo Priebke. Come in Italia del resto. E' su e contro questi celati sentimenti e celate strutture collaterali, che si deve vigilare e combattere, prima che prendano, in forme aggiornate, consistenza. Perché, allora, anche le camere a gas si trasformerebbero in cucine.

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