lunedì 30 marzo 2015

Piovono bombe a caso..

Tutta la penisola arabica è in guerra, mentre al suo interno avanzano, destabilizzanti, le milizie del califfato che controllano già ampi spazi in Iraq, orfano di Saddam Hussein e in Siria, dimidiata fra i lealisti, i ribelli e i fondamentalisti islamici. Entrambi i Paesi sono precipitati nel caos dopo che il partito Bahat è stato messo in crisi dagli statunitensi e, dietro le quinte, dagli israeliani. Il riconfermato premier israeliano si è recato al Senato nord americano, senza neppure incontrare il Presidente Obama, a dimostrazione di quanto poco lo tenga in considerazione e di quanto ormai poco conti, a rischio, in extremis, se vorrà impicciarsi troppo, fare la voce grossa o trattare, soprattutto con l'Iran. Ma, per restare, ai conflitti intestini, è da rimarcare che le milizie informali del Califfo hanno trovato due robusti oppositori, che confliggono contro di loro, sul suolo di altri Paesi, privi di sovranità. Si tratta dei sauditi e degli egiziani. Se questi ultimi sono considerati dalle truppe di Allah degli apostati e sono considerati dei nemici sul piano politico, dopo la deposizione del Presidente dei Fratelli musulmani che aveva vinto le elezioni, i sauditi sono i custodi dell'ortodossia sunnita, la dinastia al potere è a tutti gli effetti teocratica e, contro di loro, è difficile non solo la resistenza militare, ma anche la competizione religiosa. Sul piano militare, i coalizzati contendenti sono riforniti direttamente dagli Stati Uniti e, quindi, sono tatticamente e contingentemente alleati anche di Israele, salvo fomentare, i sauditi, con ingenti capitali, il terrorismo islamico in ogni parte del mondo, Stati Uniti compresi, insieme all'edificazione delle moschee dovunque si trovi una comunità musulmana. Questa apparente contraddizone endogena che assicura dinamicamente e sanguinosamente degli equilibri di potere, caratterizza un lavorio segreto caratterizzato dai comuni interesssi, energetici e finanziari, fra il desertico Stato petrolifero e gli Stati Uniti e il fervore jihadista in tutto il medio oriente, diretto, controllato e represso secondo un costume che, da noi, era tipico dei Re Borboni. Sullo sfondo l'Iran, potenza ariana, non araba, irriducibile verso Israele quanto lo erano stati i partiti Bahat siriano ed iracheno e verso il quale sembrano convergere, passo passo, tassello dopo tassello, bombe e missili, con un Presidente trattativista, indebolito e a fine mandato in america e un irremovibile capo della destra israeliana, confermato al Governo con i partiti religiosi ad aumentare la patina della sua intransigenza particolaristica.

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