giovedì 5 marzo 2015

Buon compleanno.

Il settimanale l'Espresso ha compiuto sessant'anni. Io l'ho preceduto di oltre tre. Poi ho cominciato a leggerlo dall'adolescenza; lo trovavo in casa insieme a numerosa altra stampa per gli usi informativi di mio padre, che culturalemnte vantava una biblioteca che noi tardi discendenti dovremo affidare ad un'apposita fondazione, quando la sua custode non ci sarà più. L'Espresso ha raccontato, sotto la loro superficie, tutti gli avvenimenti dell'Italia repubblicana ed ha anticipato gli esiti giudiziari, noti con il nome di Tangentopoli. Per decenni ha rappresentato l'opinione laica e modernista, contrastato sottotraccia dagli epigoni del conservatorismo feudale, perché rappresentativo del pensiero borghese radicale. IL dibattito politico, le inchieste e le critiche, hanno coinvolto le migliori firme del giornalismo investigativo e delle inchieste più spinose, senza riguardi per nessuno e, soprattutto, per il potere. Se i primi quarant'anni della rivista hanno conosciuto la contrapposizione critica ed ideologica fra ipotesi serie e riferimenti alternativi, poi dissoltesi uno in seguito al fallimento dell'altro, la sua prosa successiva si è fatta più faticosa. Dopo aver analizzato le cause non ufficiali della fine degli scontri fra potenze, vessillifere di concezioni rovesciate della società, si è disperso nella rincorsa alle vaghezze, alle fumisterie, alla volatilità della società di carta, della "tigre di carta" - per dirla con Mao Tse Thung - di una società senza confini e priva di riferimenti. Ha mantenuto, però, la sua capacità di investigazione, anzi, se possibile, l'ha aumentata ed affinata, fino all'infiltrazione nei centri di temporanea accoglienza, fra i braccianti delle aride plaghe meridionali durante la raccolta degli ortaggi, per giungere fino alle incursioni indisturbate negli aeroporti durante l'allarme terroristico - uno fra i tanti - e nelle retrovie delle strutture ospedaliere più importanti e celebrate. Sbarellando, sbarellando resta uno dei pochi riferimenti rimasti sul campo dissestato delle incongruenze, nelle quali - dovendone rendere conto - stempera ma non annulla gran parte della sua corrosività verso i luoghi comuni della propaganda.

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