domenica 8 marzo 2015

La lotta impari per la libertà.

Dei tre Ceceni, uno dei quali, proclama soddisfatto il giudice che presiede alle indagini, ha già confessato, oltre al suicida nella sua capitale, Grozny, si è già detto. In contenporanea, Galina, la fidanzata di Nemtsov riceve minacce e sostiene di non poter deporre - potrebbe farlo anche in video-conferenza da Kiev - perché le autorità del suo paese, nel quale è precipitosamente tornata, non le consentono libertà di movimenti, mentre, prima, poteva folleggiare con l'oppositore filo occidentale e filo-arancione dell'Ucraina. Nel frattempo, a distanza di due anni, è stato impiccato, secondo l'uso capitale ereditato dagli inglesi, il primo dei numerosi manifestanti pro-Morsi, il deposto Presidente eletto, inviso agli americani. Possiamo considerare tranquillamente tutti gli altri ostaggi della giunta militare, strettamente dipendente per i suoi armamenti e per i suoi agi dagli Stati Uniti, senza che nessuno - statene certi - se ne scandalizzi o sia disposto a riscattarli. In sincrono, beneficiando dell'omicidio di Nemtsov, è stato scarcerato il blogger moscovita che, apertamente, attaccava Putin, dalla tastiera del suo computer. Ha subito affermato, appeno uscito dai cancelli del carcere, che proseguirà nella sua attività e nella sua lotta, come se nulla gli fosse capitato. Il senso della libertà non è un mito, è solo una saga dura e sanguinosa. Passano poche ore e, nella Turchia in regresso democratico e involuzione confessionale, di supporto ad un potere personale ormai più che decennale, molto simile a quello dell'accoppiata Putin-Medvedev in Russia, è stato arrestato un altro blogger che aveva apertamente criticato Erdogan, l'anti-Ataturk del mondo refluente, pur così vario e diverso. Infine, nel minuscolo Paese africano della Gambia, che ho visitato ed al posto di confine del quale, sceso dal traghetto sull'omonimo fiume sostai per un'ora, sotto il sole ed in preda ai parassiti, per non concedere cento dollari ad uno stronzo di caporale del posto di guardia, fino a che non fu lui a rinunciare, hanno arrestato due pescatori italiani, adducendo pretesti del tutto speculari ed inventati di "sconfinamento". A me imputarono di aver scattato foto del confine. Questi due poveri connazionali languono nella promiscuità e nei liquami in una stanza del carcere locale, ammassati con ogni sorta di reietto, con la certezza, più che la probabilità, di contrarre delle gravi malattie se la loro situazione dovesse perpetuarsi. Ben diversa la tanto stupida, ma marziale condizione dei due fucilieri di scorta ad una petroliera privata, rei di avere ucciso due inermi pescatori. Loro sono reclusi in ambasciata o, in alternativa, in albergo. I due pescatori nostrani non possono sperare in un riscatto come le eroine delle ONG, né in un impegno attivo del Governo italiano, dato che si è saputo che sono detenuti da due mesi. La Gambia è uno staterello anglofono interno all'ovest africano di lingua francese, le strade sono in terra battuta, solo il minuscolo centro coloniale, è illuminato. Le dimensioni del Paese non consentono neanche di ospitare le ambasciate e i rapporti sono demandati a quelle di Dakar, in Senegal. Io vi approdai, dal traghetto, a piedi nudi, insieme ad un gregge di caprette. I Gambiani vogliono soldi, per spartirseli ai vari livelli della burocrazia coinvolta e l'Italia, così prodiga verso tutti i despoti e i delinquenti in giro per il mondo, teme che la sua fama di "generosità" si estenda anche ai Governi legali, ma non dissimili da quelli banditeschi e nicchia, fa i conti della serva.

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