giovedì 26 marzo 2015

Coaching uguale autosfruttamento, risparmiando anche sul trainer..

I lavoratori sono sempre più sollecitati a mettersi reciprocamente in competizione, “misurando” i rispettivi risultati con metodi che richiamano quelli con cui si stabiliscono i punteggi dei videogame e/o dei programmi di fitness. Le convention celebrative sono identiche a quelle dei più affermati venditori di pentole a domicilio o dei proponenti di cosmetici, tutto compreso. Imbonitori e seguaci si dicono entusiasti di questo metodo, perché richiama il sistema OKR (Objectives and Key Results) che viene descritto così: si tratta di fare in modo che gli impiegati si auto attribuiscano degli obiettivi misurabili, e che rendano pubblici i risultati ottenuti, o siano messi in piazza dai loro coordinatori, in modo che i colleghi possano metterli a confronto con i propri. Un sistema che smentisce l’opinione secondo cui il concetto di organizzazione scientifica del lavoro sarebbe un ferrovecchio. In questo modo i principi di autonomia, responsabilità individuale e libertà da costrizioni gerarchiche dirette, elaborati dal management consulenziale, vengono resi perfettamente compatibili con i principi dell'utile padronale: autocontrollo e autosfruttamento sostituiscono il controllo da parte di capiufficio e capisquadra. Non basta: per rendere ancora più efficace il sistema, occorre “emancipare” il lavoratore anche dalla vicinanza fisica con i capi, virtualizzare il loro rapporto. Questa inversione della tendenza relazionale gerarchica si spiega con il fatto che molte ricerche hanno dimostrato che i lavoratori autoinvestiti sono più produttivi, lavorano più ore (perdendo consapevolezza della differenza fra tempo di lavoro e tempo libero), fanno meno pause, non si danno mai malati; in poche parole: si auto sfruttano selvaggiamente. Per spiegare questa docilità autoimposta alle esigenze di valorizzazione del capitale non basta evocare l’indebolimento dei rapporti di forza delle classi subordinate, logorate dagli effetti di decenni di “guerra di classe dall’alto”: disoccupazione, individualizzazione, de sindacalizzazione, ecc. che li inducono a ingaggiare una spietata guerra fra poveri per “meritarsi” un salario; la catastrofe è in primo luogo frutto della disfatta culturale provocata dalla conversione delle sinistre in rotta all’ideologia liberista. Una conversione che, per la socialdemocrazia, ha assunto la forma della sottomissione al dio mercato, per i “nuovi movimenti” quella dell’emancipazionismo individuale e identitario. Gli intrepidi e certamente domani i vittoriosi, intraprendono la loro epopea autosuggestionandosi, fino a vivere in un'ininterrotto conato ripetitivo, sempre uguale e sempre, per loro, inutile e nel quale riflettersi per riconoscersi.

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