venerdì 6 settembre 2013

Ultimi, progressivi congedi.

E' stato sancito. Per il paziente "non c'è più niente da fare", che, tradotto, vuol dire: questo Istituto di ricerca sul cancro, che usufruisce, a questo scopo, di iniezioni di denaro e può valersi per la sua controllata sperimentazione di pazienti in corpore vivo, non può più utilizzare i fondi per una terapia impossibile, né continuare a investigare le cause dell'invasione corporea, ormai giunta alla diffusione su tutte le ossa delle metastasi, senza incorrere nella sospensione delle corresponsioni ( poche, le pubbliche, molte, quelle delle industrie farmaceutiche )finalizzate. Abbandoniamo, quindi, il paziente. Questa è stata la formula, burocraticamente infame, che è stata ripetuta ai famigliari della vittima defedata. Non è più compito nostro accompagnarla alla morte. Nessun consiglio, nessuna indicazione. Ora si prospetta, non tanto per il diretto interessato, il cui orizzonte è definito, ma per i suoi parenti, un itinerario, senza speranza, al Centro delle neoplasie dell'Ospedale Sant'Orsola di Bologna o al Centro europeo dei tumori di Milano, ex Mario Negri. Una tortura per mitigare il dolore, per qualche ora di apparente recupero, mentre il corpo si riduce, fagocitato dal suo interno, da se stesso, in contraddizione biologica, senza sintomi, tranne una febbriciattola, a tempo scaduto, quando appena un anno fa, ancora faceva sport e sosteneva sforzi. L'importante Centro di cura e ricerca che, dopo aver esperito gli accertamenti standard, si era inoltrato, giustificato, in una seconda scansione più evoluta, da non praticare se la prima diagnostica fosse stata esaustiva, aveva avuto l'imprimatur per la terza, la più evoluta, raffinata e costosa. Ebbene, neanche quest'ultima era riuscita ad accertare l'origine del tumore; solo talune cellule malate di tipo intestinale avevano indicato una localizzazione, ma non la sua cronologia. Uomo, lasci questi luoghi che hanno deluso le tue ultime aspettative. Noi facciamo un altro mestiere.

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