mercoledì 11 gennaio 2017

Un'altra pagina fradicia dell'Italia serva.

Dunque, mentre si può referendare sui voucher e sulla limitazione di responsabilità quando avvenga un accordo illecito cito tra appaltante e applatatore, sul job's act e segnatamente sull' art. 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, non è dato pronunciarsi. Il Sinedrio laico, custode degli equilibri politici, non so ancora con quali motivazioni, si è prestato a fare da Vestale di un potere prono e corrotto. Certamente a imtervenire sui suoi ex colleghi, è stato quel notabile meridionale di Sergio Mattarella, già autore, agli albori della Seconda Repubblica, di un ineguagliato sistema elettorale compromissorio, cioè democristiano. Se il job's act fosse stato sottoponibile al giudizio popolare, per scongiurare una probabile bocciatura, l'insulso Partito democratico avrebbe provocato la chiusura anticpata della legislatura dei nominati, per ritardarne il giudizio di un anno e mettere in cantiere una riforma di facciata, necessaria a rendere necessaria una nuova raccolta di firme. Invece, il governo-Quisling deve continuare a fare da tappeto alla tracotanza creditoria dell'Unione europea, la quale non prevede lacune di continuità con il ventennale processo di riduzione del debito italiano. Ecco che la Corte si affianca alla politica e agli interessi prevalenti, in gran parte esogeni. Che cosa ci sia di ostativo, giuridicamnete e costituzionalmente, a consentire la consultazione popolare su una legge riguardante il lavoro, non appare di nessuna comprensione, ma, si sa, nella patria del diritto, le circonvoluzioni del dottor Azzeccagarbugli sono sempre all'ordine del giorno. Cade l'ingenua credenza nell'indipendenza della magistratura, in un Paese come l'Italia, uso all'arbitrio clientelare ed alla melensaggine cattolica e questo nonostante, anzi soprattutto, dopo la sconfessione della riforma costituzionale che, di fatto, viene compiuta, ad argomentum, dalla stessa Istituzione che dovrebbe tutelarla e che invece la piega alle esigenze espresse sottotraccia, dalle compagini, tempo per tempo, prevalenti, nel substrato paludoso delle istituzioni. In questo, nulla di nuovo. La lotta va portata su altri fronti e, ad onta del suo, tante volte strumentale ed ipocrita costume, pur molto minore della media perché non rinuncia a stare all'opposizione quando serve, è sempre e solo la CGIL ad investirsene, secondo una confermatoria vulgata, per la quale, con tutti i sottintesi impliciti in un modello quanto meno dirigistico, la "querelle" democratica, almeno finché rimane espressione dei ceti subordinati, resta appannaggio del movimento, non più operaio, ma comunque del popolo. Del resto Demos Kratia, altro non significa che sovranità del popolo. Una sovranità che non è mai stata accordata e che va conquistata senza cineserie, costi quel che costi.

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