venerdì 6 gennaio 2017

Quando il vulcano è attivo, eppur silente.

Ormai, in Turchia, è guerra aperta, gli attentati sono giornalieri, come nel 1980. Allora, un colpo di Stato chiuse nel cassetto la guerriglia, ma ne lasciò intatte le connessioni, come l'attentato di Ali Agca, in Piazza San Pietro dimostrerà. Dalle contestazioni studentesche a Istanbul, al rinascere del nazionalismo curdo, incentivato dal ruolo di carne da macello per la prima linea contro l'Isis, fino ad altre componenti oppresse dal costituendo regime di Erdogan, che hanno ripreso le armi. Con il suo tentativo di prendere il potere, sull'onda di un'investitura popolare molto plebea, l'aspirante Sultano ha rimesso in moto ogni sorta di antagonismo, endogeno ed esogeno, precipitando il suo paese nel disordine. Erdogan cerca di rappresentare l'ordine legittimo, ma il problema è che non c'è più nessun ordine e che la sua parabola è giunta al termine. Concordi, dunque, la sua uscita di scena e si goda i soldi che ha rubato, con il concorso dei suoi familiari. Ieri è stata la P2 turca, guidata da Gulem, poi sono stati i servizi di altri Paesi, anche alleati e, a rotazione, i Curdi e le loro pretese nazionalistiche, nella sempre più pletorica "interpretazione" del Governo, a cui non è bastata l'incarcerazione di quasi tutta l'intellighenzia e l'informazione del Paese, per continuare a darsi ragione da solo. Ne sanno qualcosa gli Armeni. La pretesa di rappresentare la legittimità, in presenza di una guerra sul campo è un controsenso: l'esercizio del potere è soprattutto incrocio di vantaggi e di denaro e nessuno dei contendenti, dietro le quinte, ha intenzione di superare questo realistico precipitato.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti