martedì 24 gennaio 2017

Faglie.

Dopo un anno mistificato, da che Giulio Regeni fu ucciso, dopo essere stato torturato, abbandonato, nudo dalla cintola in giù, saltano fuori filmati di una conversazione, intrattenuta dal nostro ricercatore, in un ottimo arabo, con un agente dei servizi segreti egiziani, tanto è vero che riprendeva l'incontro attraverso una microcamera nascosta in un bottone. Un personaggio infrequentabile, sedicente sindacalista degli ambulanti, occhi sfuggenti per la polizia. Giulio lavorava con presuntuosa ingenuità, in un ambiente levantino, nel cuore di una dittatura, per imbastire la ricerca che l'Università di Cambridge gli aveva inconcepibilmentecommissionato, dotandolo anche di soldi per le sue ricerche. La polizia segreta egiziana temeva l''indagine, sospettava un fine spionistico, anche in assenza del quale, la curiosità accademica non era contemplata, né ammessa. Certo è che, in quest'ambito, la spregiudicatezza di un ricercatore, poco più che un ragazzo, in un contesto infido, fa piangere il cuore e getta ombre sui committenti, sibito sfuggenti ed omertosi, non appena sono sttai chiamati in ballo. Che i servizi di un paese sotto dittatura, però, non siano in grado di risalire agli autori, che sono interni alle loro file, è fuor di luogo; li protegge semplicemente in quanto longa manus del regime e i due Paesi - Egitto ed Italia - continuano a recitare una pantomima offfensiva per la verità e per la memoria dell'imprudente accademico. Tutto ruota intorno ai soldi e all'uso che, da un certo momento in poi, se ne sarebbe voluto fare, che erano e sono a bilancio dell'Università inglese e che - dice improvvidamente Regeni - si potrebbero sbloccare in cambio di più compiute informazioni, utili al suo lavoro, per sviluppare il quale, qualcuno lo aveva indirizzato ad una spia. La vicenda Regeni continuerà a trascinarsi così, fino a che diventerà appannaggio del giornalismo sensazionalistico, per poi sprofondare nell'oblio, quando il momento sarà propizio alla rimozione. A Roma, con sospetta velocità, dopo il Sindaco Marino, sta per essere indagata anche Virginia Raggi. Strana, improvvisa efficienza della magistratura capitolina a tutela degli equilibri sovvertiti. Con Marino si cominciò con le soste vietate e poi, in quattro e quattr'otto, la centrifuga confusionaria lo proiettò fuori dal campidoglio. Se la Raggi non era in grado di gestire un compito proibitivo, avrebbe dovuto declinarlo, perché così si è prestata ad impersonare l'etica telematica dei 5 Stelle, mentre patetico risulta il suo tentativo di rifugiarsi sotto la protezione partitica e movimentista dello sparpagliato movimento. Non si capisce chi abbia strumentalizzato chi, ma, come già per Marino - tutt'altro che candido, come la Raggi - l'aggressione alle cellule aliene dell'intossicato organismo romano, è stato pronto e concentrico. Dovevano evitare di cimentarsi a Roma e continuare a gestire il malcontento borghese al centro-nord, come l'assenza di contrsti nella Giunta torinese del Sindaco Appendino ( una signora, ma non mi rassegnerò mai a chiamarla "Sindaca", come se la carica fosse sessuata )attesta per contrasto, nonostante le recise prese di posizione su temi scabrosi e l'aver revocato l'adesione del comune di Torino alla TAV verso e da Lione. A differenza di quella romana, la giunta Appendino ha esordito con un attacco promosso contro una figura di spicco del mondo torinese, mentre quella della Raggi si è subito trovata intrisa da tanti di quei figuri, ben più spicci e pratici. Dubito che si possa esimersene e non mi stupisce che si sia cercato di valersene.

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