venerdì 6 gennaio 2017

Itinerari su di un terreno accidentato, il viandante è lucido proprio perché non si sforza di evitare le buche.

Mi è capitato di rileggere alcune pagine di E.M. Cioran. Dovremo provvedere a conferire la grande biblioteca di mio padre, ora che non c'è nenache mia madre a custodirla, ad un'apposita Fondazione, che è comunque un'operazione museale, che cerca di conservare una memoria, almeno facendone leggere il nome. Cioran fa parte della mia biblioteca e non ne è l'unico autore. Non è una lettura per svagarsi e non so cosa mi abbia spinto a riprenderlo in mano: lui avrebbe detto, assolutamente niente, l'unica possibilità di godere e valorizzare le cose. Non so se suggerirne la lettura, innanzi tutto perché i suoi rimandi non sono di immediata comprensione, spaziando su tutto il vasto mondo della mitologia cristiana, sui simboli della cultura illuministica, sulla tristezza della sua sfortunata e depressa terra: la Romania. Ma, infine, è troppo amara la sua sensibilità viscerale e cerebrale insieme, una percezione che ha anticipato la moderna neurofisiologia, una scienza, di cui il pensiero astratto è sempre stato antesignano-contrario, in ogni disciplina. Oggi, che si è riprecipitati in una utilitaristica ignoranza, si tende a screditare, per accreditarsi, per rimuovere e Cioran sarebbe un interprete appropriato, un chirurgo senza anestetici, della sua inconsistenza tossica di contenuti. Un pensiero pseudo-scientifico, così rattrappito, non si fermerà al "corpo organico", di cui la mente è solo un organo, invertirà la prassi alla luce di "nuove" interpretazioni, per poi "sviluppare" quanto si era momentaneamente abbandonato. Sarà tutto subordinato alla carriera accademica dei soloni delle cattedre, ai loro incroci editoriali, imposti agli studenti, al loro produrre dei piccoli successi, rivoltando senza fine la materia. Non so - dicevo - se raccomandarne la lettura, perché, come lui stesso affermava, la sua opera ha certamente portato alcuni dei suoi lettori a suicidarsi. Persone ignote, avvicinatesi a testi ardui e, per taluni, troppo coinvolgenti, anche se per un solo aspetto del suo pensiero. Assumere qualcuno come proprio profeta può portare alla pazzia della propria dissoluzione. Cioran, in realtà, è un anti-profeta, non ha nessuna intenzione in merito, ma le sue "apocalittiche visioni" proprie dall'Apocalisse biblica ( del Nuovo testamento )hanno contenuti spirituali, pur attinti dall'empirismo della vita ordinaria e delle sensazioni che gli provocava, contengono richiami archetipici, da lui riconvertiti, negli elementi della mitologia religiosa cristiana e, come possono indurre all'ascesi, sia pur dolorosa, così possono accompagnare al precipizio sul quale qualcuno si sofferma - e non è detto che sia il più sconsiderato - nella speranza di esserne risucchiato indietro e, quando constata l'assenza di ogni interesse nei suoi confronti, decide di saltarci dentro. Cioran non si cimenta in nessuna opera salvifica, anzi vive nell'abisso, sorretto solo dall'esame della sua infelicità. Insomma, un mistico, anche se credo che questa definizione o semplice espressione, non gli piacerebbe. Qualche anno fa, su twitter, trovai una citazione di Cioran, nella finestrella del Cardinale Ravasi, uno degli uomini più colti della Chiesa. Gli risposi, obiettandogli, con garbo, non perché era "lui", ma perché faccio così con tutte le persone che, in un modo o nell'altro, non mi offendono, che, senza richiamare l'autore, aveva fatto proprio un pensiero di un agnostico totale, di un uomo - per chi lo conosce - lontano anni luce, nel suo viaggio cosmico, dalla concezione cristiana che i cattolici hanno elaborato per cinque secoli, senza che diventasse storicamente la dottrina univoca di tutti i cristiani. Per ragioni spirituali ed anche politiche, ma in quell'epoca e anche adesso, la Chiesa fa politica. Non mi rispose, ma è indubbio che se fra le letture del Cardinale Ravasi c'è il breviario di Cioran, egli vi abbia correttamento individuato e scelto un pensiero tormentoso ed elevato insieme, anche se tutt'altro che catechistico, attinente alla condizione umana. Il rumeno, trapiantato, come tutta l'intellighenzia centro-europea esule, a Parigi, assembla - ed assemblava brevemente, in quella citazione - tutti i "topos" della cultura simbolica classica e la sua tristezza di sradicato, figlio di una nazione sfortunata ( che non risparmia, per questo, nei suoi giudizi ) anche se partorì anche uno storico di levatura mondiale: Mircea Eliade. Sembra quasi che solo dalla disgrazia sia possibile far emergere talenti spropositati, fuori contesto. Una espressione che sarebbe piaciuta a Cioran. La contraddizione simbolica era illuminante, ma terrorizzante. Tutta l'opera di Cioran è così, le sue formulazioni attingono da e raggiungono "il Paradiso" e poi sprofondano organicamnte "nell'Inferno", perché prodotto di una simbiosi o da una unità complessa, organica, neurofisiologica. Del resto, ho maturato la convinzione, da un certo momento in poi, che la Chiesa dottrinaria fosse una delle tante organizzazioni esoteriche, il cui aspetto palese, lasciava solo intravedere qualche "fabula" semplicistica, infantile, della sua natura. Però, come fa il Cardinal Ravasi, senza suicidarvi, provate a scorrere, non in maniera organica - non sono uno o più romanzi - la miscellanea dei suoi contributi. Troverete tutta la sua bibliografia nelle edizioni Adelphi e, dopo i libri brevi, addentratevi nei quaderni, che non contengono aforismi, ma il percorso accidentato del suo pensiero, condizione - diceva lui - per essere veri, anche se hanno un costo elevato e leggeteli a sprazzi, qualche volta. Se e quando vi prende la tristezza, abbandonateli, ma teneteli nella biblioteca. Se non ce l'avete, evitatelo.

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