sabato 5 marzo 2016

Una delle ragioni, non investigata, della carenza di medicine nelle farmacie. Il Causith alla base dell'eccellenza.

Non mi era ancora capitato di constatare, in ambito aziendale, l'esercizio, secondo coscienza, della malattia subordinata alle esigenze di servizio, tarate sul minimo speculativo. Eppure, verso la fine - non rimpianta - di questa vita lavorativa, con genuino stupore e un persistente mal di testa, dovuto alla coltura bacillare ristagnante nell'ambiente, devo oggi prenderne atto. Ricoveri brevi, ricadute e riunioni, allattamenti al batterio, compenetrazione di assistenza familiare, puerperale e geriatrica, in sincrono con la multiadibizione, nella nebbia di un apparente consenso e nel timore di critiche cenacolari. Sul posto con la febbre, non del sabato sera, ma del calepino degli impegni che non frutteranno nient'altro che uno stipendio tariffario. La vocazione e l'etica del lavoro - anch'essa di impronta dittatoriale, nella fattispecie (ex) comunista - non c'entrano per niente: questa è paura di violare il protocollo di una setta, nell'illusione, negata in queste circostanze, di farne parte, almeno liberamente. Per i soliti paradossi della vita - non da solo, per carità - reggevo, vecchia quercia, all'epidemia di un morbo che non si piegava ( dev'essere di sinistra ) alle esigenze dello sviluppo e delle riunioni di spogliatoio, le stesse e con gli stessi fonemi, con i quali gli allenatori filo-aziendali, per non essere avvicendati, girano la manovella dell'impegno ripetitivo verso obiettivi sempre crescenti o mai calanti di classifica. C'è qualcosa di non detto in tutto questo ed è meglio non saperlo.

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