giovedì 4 febbraio 2016

La cultura disinteressata è quella che suscita la reazione.

Giulio Regeni, un giovane ricercatore italiano, è stato sequestrato, lentamente torturato e poi ucciso. Così, com'era ridotto, senza gli indumenti dalla vita in giù, è stato scaricato in un fosso, recuperato dal quale , gli stessi aguzzini hanno impastocchiato diagnosi di maniera e promesso tutta la loro cura nella ricerca dei responsabili. La sceneggiata non è andata a buon fine per la tempestività di un avvocato egiziano, impegnato nella rappresentazione giuridica dei diritti umani in un paese che ha sperimentato la democrazia, sia pur eterodiretta ed ha subito ripiegato su una dittatura tradizionalmente rassicurante per l'Occidente. Regeni svolgeva attività di investigazione scientifica sul campo - drammatica ingenuità, su un terreno del genere e, oltre certi limiti, non solo - e collaborava sotto pseudonimo con Il Manifesto, l'unico quotidiano che mostrasse interesse a pubblicare i suoi articoli, le cui fonti risiedevano, in parte, nell'opposizione alla macchia dell'Egitto, anch'essa, per altri versi, tutt'altro che democratica. Il Governo egiziano, che oggi, tramite il suo ambasciatore a Roma, ha espresso il suo cordoglio e garantito la sua massima collaborazione, è degno di fiducia quanto quello italiano che, nella sua nota diplomatica, ha inserito e sottolineato, "gli ottimi rapporti intercorrenti, per obiettivi comuni, fra l'Italia e l'Egitto. Propio quegli obiettivi comuni, che investigava senza interessi personali e senza militare in nessun partito o movimento, gli sono costati, non solo l'esistenza, ma, prima. l'umiliazione che tutti i corpi di polizia riservano alle prede inermi e coraggiose, mentre loro sono dei servi. La democrazia è spenta ed in Egitto non è mai nata: Giulio Regeni, novello Nazzareno, ha immolato la sua vita ad un ideale e, come tutti gli idealisti, sarà glorificato e non imitato.

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