martedì 16 febbraio 2016

Interni.

La contabilità quotidiana avvelena il vissuto di molte famiglie. Le difficoltà e il risentimento verso l'ambiente di lavoro si sfogano in contrasti fra i coniugi. La svogliatezza scolastica, dapprima alimentata da un benessere assopitore, plana sui più giovani e si nutre del cattivo esempio, meglio ancora, di una sorta di condizionamento al peggio di tipo etologico, nell'ambito degli ambienti destinati all'organizzazione dello studio, demandato per il suo svolgimento e la sua realizzazione alle famiglie, molte delle quali indatte al compito. Le scuole tecniche, sulle quali hanno ripiegato i cadetti per l'inaridirsi delle fonti di reddito dei genitori, le scuole comprensoriali alle quali affluiscono quasi tutti i ragazzi di estrazione popolare e i figli degli immigrati, conoscono scontri fra incongruità didattica e condizioni di vita, anche solo di costume, dei nuclei familiari di provenienza; gli studenti, non supportati dagli insegnati che non vogliono assumersi l'onere di un affiancamento faticoso e costante, godendo del posto fisso e - con qualche ragione - non vogliono neppur competere con famiglie che non si rendono conto o non possono o vogliono supportare economicamente, di fatto privatamente, il conseguimento del diploma dei loro figli, ma vorrebbero presuntuosamente, pretestuosamente, ma anche ingenuamente, che fosse il corpo insegnate a farsi carico di questo, mentre invece quest'ultimo avvia i loro figli alla scuola professionale o, come si diceva una volta, alla scuola di avviamento al lavoro, levandoseli di torno. Come in passato, negli Istituti comprensivi territoriali, come si chiamano oggi, gli studenti sono selezionati in base al reddito, che farà democraticamente di alcuni dei grevi padroncini, di molti dei salariati manuali, senza supplire alle difficoltà di accudimento delle famiglie, come già detto, non all'altezza. Ma è all'altezzza una scuola di questo genere? L'unico sistema sarebbe quello del "college", che però, quando vigerà, non sarà riservato ai figli dei lavoratori, almeno di quelli meno acculturati. Il corpo docente non si sofferma, giudica e declassa. Il classismo si manifesta subito, dal primo anno delle scuole superiori. Tantissime potenzialità vengono così trascurate ed accantonate. Il mondo sofisticato dei Licei si chiude, invece, in una specializzazione culturale crescente, della quale i docenti sono solo i custodi, non impegnandosi oltre il rito quotidiano della lezione e demandandando alle facoltose e relazionate famiglie il supporto privato all'apprendimento, ammansito dallo stesso corpo docente pubblico disimpegnato. Si ripete così il collocamento e la relegazione censitaria in una società che, per fini di dinamica economica, si è strutturata in una democrazia formale, fra l'altro sotto la spinta, a suo tempo post-bellica, delle potenze capitalistiche vincitrici, almeno nella nostra porzione di mondo. Eppure, senza soluzione, le società che utilizzano il lavoro, si sfaldano, si ricompongono, si fondono, sono soggette all'informatizzazione continua di tutti i servizi e, prima di liquidare ( sontuosamente per i proprietari ) l'attività, aggrediscono e licenziano il personale, allorquando, ciclicamente, si isterilisce il loro "core business". La capacità innovativa, la stessa mancanza di volontà, delle aziende meno strutturate, le portano spesso al fallimento pilotato e, nel caso di un eccessivo indebitamento, frutto dell'inconsapevolezza dell'evoluzione degli eventi, ad un fallimento rovinoso. Lo scenario che si offre è di un'incompetenza diffusa, a livello produttivo e bancario o finanziario in genere e di una gestione miope e contingente dei fenomeni. Se così non fosse e non fosse stato si sarebbe potuto e si potrebbe ovviare e correggre, scontando la resistenza, più di facciata che di sostanza, dei sindacati, trattenendo in radice, almeno in parte, la frana economica in corso, che tanto disordine ha provocato nelle persone e nei nuclei familiari. I lavoratori, per parte loro, non hanno avuto la capacità, duttile, intellettuale, di adattrasi e di riconvertirsi, non solo negli atteggiamenti e nelle parole, ai cambiamenti tecnici. La massa non ne possiede gli strumenti e le aziende, con l'avanzare dell'età, fanno di ogni erba un fascio, scartando anche le competenze provate e precedentemente esercitate, per sostituirle con una banalizzazione generalizzata di mansioni, di contratti e di costi. L'occupazione, nella migliore delle ipotesi, diventa intermittente, per molti occasionale e la stessa affettività assume connotati diversi, ristretti ma almeno consapevoli, riguardo all'antieconomicità di una famiglia tradizionale, troppo esposta agli sconquassi della crisi endemica del capitalismo. Così, i beni vanno all'incanto per rincorrere situazioni irrecuperabili, la ricchezza si accentra, l'indebitamento che porterà all'espropriazione viene incentivato, sfruttato con un cinismo da mentecatti. Manca, da troppi anni, il movimentismo sociale, che, laddove si manifesta, assume caratteri di dispersiva disorganizzazione, tanto che dopo aver carpito ed ottenuto un consenso sentimentale, si adatta e si confonde. Tsipras, in Grecia, insegna. Insomma, tutta l'area meridionale del globo, appeso agli ammennicoli della finanza dominante, di cui gli Stati sono lo strumento, sprofonda in costumi irrazionali ed insensati, in una coreografia di pura e stentata sopravvivenza, senza riferimenti culturali, priva ormai di una base economica e dopo che si è perduto il senso di appartenenza ad una classe. Le classi dominanti, lo hanno invece rafforzato. Elementi semplici che, in questa barbara fase storica, sono miseramente crollati.

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