domenica 16 marzo 2014

La forza dell'abitudine.

L'abitudine è dunque la tiranna degli individui, ma l'appello alla medesima, dopo averla creata attraverso grezzi espedienti psicologici e reiterata senza intervalli per sedimentarla, costituisce un argomento di dominio, per indurre i destinatari a pensare che non esista un'altra realistica condizione per loro. Testa bassa e lavorare: è ineluttabile. Sarebbe inutile, una pippa mentale, orientare il proprio pensiero verso l'immaginazione di forme organizzative utopistiche: laddove sono sussistite e sussistono hanno provocato fallimenti e diaspore. Niente di più falso. La riorganizzazione monca della finanza italiana ha seguito ben altre rotte e, al danno per pochi malcapitati, ha contrapposto l'accumulo di ingentissime ricchezze personali, l'esordio nella finanza di figure prima gracili e il satrapesco accantonamento di figure vestuste che, fino all'ultimo, hanno provveduto a barricare il loro personale peculio e il manipolo dei rentiers più prossimi, nella prospettiva di una vita altrettanto lucrosa per i loro dinastici rampolli. Chi ha vissuto questi fenomeni dall'interno, lo sa. Non sono mancate, in quell'ambito, mediocri e squallide figure di ciambellani: dato che non si può ammazzarli, si può solo ricoprirli di contumelie. Tornando a noi, sono comunque gli uomini, considerati nelle loro configurazioni specifiche, che abitano la terra. L'alternativa tra libertà e servitù viene così a incrociarsi con le diverse forme della pluralità, quindi, anche le occasioni di vontaria servitù si coniugano con quelle della pluralità. Esistono dei limiti alla "capacità di soffrire" delle persone umane e risiedono nell'istinto di conservazione, che però, nel corso dell'adattamento "culturale " dell'uomo si è traviato in una indecorosa attitudine a subordinarsi alla considerazione degli interessi, così come ce li induce l'ambiente che ci condiziona. Attraverso questo pervertimento, gli ex soggetti, gli asserviti, riconoscono acriticamente alla gerarchia simbolica la configurazione della ragione, la manifestazione dell'idea. Di conseguenza, in una società retta dai principi dell'ambizione e dell'avarizia, è la rivalità economica la causa esterna ed esteriore dell'ingresso in servitù. Lo testimonia lo sfruttamento di tante persone, emigrate nei Paesi mercantili per saldare, in uno stato di schiavitù, i debiti delle loro famiglie, tanto quanto l'insano agitarsi di frenetiche figure sfuggenti, nel raggio d'azione d'aziende e azienducce. Non vi è, in questi perimetri, fisici e mentali, libertà di conoscenza disinteressata, di essere compagni, di essere amici, tranne che in una competizione coordinata a scopi estranei, timorosamente avvertiti come se fossero propri. Ecco che, sia nelle forme del collettivismo storico, sia in quelle della fregola privata, si ha l'avvento di una totalità unitaria, sotto l'egida di un potere separato dalla società, dove la conoscenza reciproca è giunta al termine e dove gli uomini concoscono soltanto un simulacro di comunicazione, attraverso la figura del capo, come se fossero tutti diventati una particella del suo corpo, come se l'ideale si inverasse. Se non è fascismo questo...L'avidità privatistica, da quando ha smesso di essere contenuta dal totalitarismo collettivista, che pretendeva di unificare le individualità, ed è venuta meno una dialettica, eticamente dubbia, ma politicamente necessaria, che, nel mondo plurale, rendeva migliore la vita di tutti, ha (ri)cominciato a parcellizzarne le componenti, a frullarle e sinergizzarle per un assurdo superamento delle concrete possibilità, orientato al mantenimento, solo per sé, di posizioni che si vogliono immodificabili. Ecco dunque che la cura della nostra emancipazione non è mai un "risultato", semmai è un "obiettivo" ricorrente ed è solo nelle nostre mani. E' affar nostro, non di agenti esterni, anche di quelli che con l'alibi di liberarci, potrebbero sottometterci a forme altrettanto perniciose, in quanto si addobbano e si camuffano con gli abiti tinteggianti dell'emancipazione o, come in questa fase storica, del successo. Troppe mitologie sono state dissacrate, come quella dello yuppismo degli anni '80 e del baccanale finanziario dei '90-inizio 2000, della natura dissimulata dell'Unione europea, perché sia giustificabile ricadere ancora nello stesso inganno.

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