martedì 11 marzo 2014

Il vitello d'oro (ricoperto). Nel ventre del cavallo di Troia.

Abbiamo sottolineato come l'ambiente sia condizionante nella sottomissione inconscia, ma codesto è solo un elemento che non può spiegare tutto. Esistono però tante, troppe persone che hanno intravisto soltanto l'ombra della libertà e non ne hanno fatto, nella loro vita personale, esperienza alcuna, rimanendo soggetti a ritualità e convenzioni prepotentemente, ancorché zuccherosamente, imposte. Non si può apprezzare quello che non si è mai conosciuto, né provarne rimpianto e per gli uomini diventano naturali tutte le cose a cui si sono abituati: la prima ragione della servitù volontaria è dunque l'abitudine. Gli uomini sottomessi trovano giustificazione alla loro condizione nella esperienza paterna. Pensano quindi di essere tenuti a sopportare il giogo, se ne convincono a forza di esempi e, con il passare del tempo, consolidano da loro stessi le fondamenta del potere che li sfrutta. Raramente fra di loro ci sono persone dotate di una cultura non strumentale e, se costoro vi sono, non producono nessun effetto, perché questi individui sono dispersi e non si conoscono fra di loro, a differenza degli altri che fra di loro si riconoscono. Isolati, soprattutto durante le ricorrenti campagne di acquisizione, quando gli schiavi si coalizzano, questi sparsi individui vengono privati della libertà di fare, di parlare e quasi di pensare: finiscono per trovarsi soli e il loro atteggiamento viene degradato a fantasticheria. La prima ragione per la quale gli uomini servono volentieri è perché nascono servi e sono educati e cresciuti come tali. Di conseguenza diventano facilmente vili; con la libertà perdono anche il coraggio. Gli asserviti perdono anche in vitalità e se la recuperano è solo per insensati fini esogeni che non procurando loro nessun vantaggio, li confermano nel loro riattivabile ruolo nell'ingranaggio produttivo. Finisce così che codesti tristi figuri divengano sospettosi verso il loro bene e ingenui verso chi li inganna. Quando gli sfruttatori elargiscono le briciole del loro banchetto, questi imbalorditi non si accorgono che stanno soltanto riottenendo una parte di quello che era loro e che non avrebbe potuto essere riattribuito in misura minima, se prima non gli fosse stato carpito. Costoro sono e sono sempre stati così: beotamente disponibili di fronte a gratificazioni disoneste, che atrribuiscono retoricamente al loro sacrificio e dedizione e anestetizzati di fronte all'ingiustizia che non dovrebbero altrimenti sopportare. E il tribunato della plebe o sindacato che dir si voglia? Nel mondo antico, gli Imperatori non trascuravano mai di ricoprire regolarmente anche il titolo di tribuno della plebe, sia perché tale carica era ritenuta santa e sacra, sia perchè era stata istituzionalizzata a difesa e protezione del popolo. Se ne assicuravano così la fiducia, nonostante gli effetti avvertiti fossero esattamente contrari alle premesse nominalistiche. Anche oggi ogni svendita e ogni nefandezza sono sempre preceduti da qualche vaniloquio sul bene comune e sulla pubblica utilità. Per oggi basta.

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