mercoledì 29 maggio 2013

Sulla cengia.

I personaggi pubblici che hanno caratterizzato o semplicemente rappresentato un'epoca o la loro vita all'interno di un'epoca, in auge ad alcuni, in uggia ad altri, lasciano la scena, si ritirano per l'ultima volta dietro le quinte, rinunciando a rispondere agli ultimi applausi. Muoiono, con diacronica sistematicità. Con un fiato, cancellano, infine o finalmente, passioni e volontà, amarezze e oltraggi, azzerano i significati, che sopravvivono ancora nell'anima nostalgica, oppure torpida di chi gli è sopravvissuto. Gli equivoci, per loro, certamente si sono sciolti. Lasciano un paradigma confuso, nel quale i loro simbolici riferimenti si sono dispersi e nuovi emblemi culturali, di cui investirsi e da rappresentare, non si intravedono. Ciò che, anzi, si intuisce è un arido dominio della tecnica. Ma al culmine della crisi, la tecnica paleserà la sua vanità, la sua ininterpretabilità. Per ora tutto ripiega nel vago, viene rimandato. Ignoti amanuensi, in qualche eremo, nascosti, certamente si peritano di ricopiare per un nuovo, ma non originale uso, l'eterna vulgata, eternamente dismessa. Sul piano della prassi tecnologica, sia che si tratti di tecnologia applicata, o di tecnologia economica o di tecnologia scientifica, le elisioni si fanno sempre più minute, microscopiche. Di quelle minuzie si fanno esteti futurologi d'apparato, non importa quale. L'enfasi è aprioristica. L'umanesimo negletto si ripiega ma non dispera. Ancora una volta dovrà solo attendere che alle aspettative si sovrappongano le delusioni, quando, cioè, i caratteri astorici dell'animo umano reclameranno il loro ristoro, denuncieranno l'inganno e la speranza si ridistenderà su un orizzonte altrimenti desolato. Come in ogni epoca di mezzo, per l'assenza, i miraggi si affolleranno alle insensate anime, non in grado di discernerne la ripetitività. Sarà questo il teatro del futuro, già noto, ma al quale non saremo noi ad assistere.

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