venerdì 31 maggio 2013

Epigonie.

Lascia un po'interdetti constatare come, in rapporto ai simboli di un'ideologia negata. si raggrumino odi e cerimonialità. I fascisti, che avevano taciuto alle esequie di don Gallo, si rifanno vivi in un profluvio di violenza - la stessa che le avevano inflitto sotto la copertura della caserma dei carabinieri Pastrengo - nella quale, da quei vandeani che sono, rievocano l'inferno di cui loro sono guardiani in terra per chi non si rassegna all'umile subalternità. Vanno in bestia se i contestatori li sovrastano culturalmente: loro della cultura se ne fottono, non potendo fotterla, ma poi ci rimangono male quando constatano la loro pochezza. In morte di Franca Rame, l'insulsa bestialità è riemersa intatta. Se voleva sfotterli per l'ultima volta, c'è riuscita in pieno. Violenza lubrica indirizzata verso una donna che, ridotta ada una vecchierella rinsecchita, tutti gli anacoreti e gli svillaneggiatori ricordano nella sua vistosa e abbacinante bellezza giovanile, dedicata ad un pennellone, un po' giullare anche nell'aspetto, col quale ha condiviso, senza ripensamenti, così diffusi nella classe borghese, una vita di - ritengo - piacevole e gratificante compagnia, in un contesto creativo ed artistico. Cosa c'entra la cerimonialità? Scontata la celebrazione laica della attrice, autrice e militante, farlocche, a mio giudizio, le parole del figlio, scordato il ciao di Dario Fo, coreografiche le attempate donne in rosso, rigide come vecchie professoresse zitelle. Della Rame, da sola o con il marito, ho assistito a molte rappresentazioni e spesso non ne ho apprezzato la sperimentalità, sempre l'esplicitezza, fino alla catarsi curativa dell'anima ferita. Nel mondo laico lascia la sua gente e solo la sua, come don Gallo e tutti coloro che non passano l'esistenza a simulare opportunisticamente un costume...puramente speculativo.

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