giovedì 16 maggio 2013

La cricca dei ricchi.

Devo proprio ammetterlo: nei pensieri e nella terminologia sono rimasto ancorato a un passato recente. Con apparente inavvertenza e senza cambiare i termini espressivi, si è voluta camuffare la realtà che un potere volgare e involgarente ci ha propinato come ineluttabile precipitato di storici fideismi. Poco importa, per converso, che analoghe trasformazioni lessicali sarebbero intervenute anche a parti inverse. Già l'analisi della prassi e il suo rivolgimento - che non se ne distacca - documentano l'inane e onanistica pratica "raziocinante". Credevo ancora che gli "impieghi" fossero prestiti all'impresa produttiva e non mi spiegavo più le continue chiusure delle aziende a secco di finanziamenti e di ordinativi. L'inaridimento degli ordinativiè stato conseguente alla celebrata e venerata costumanza finanziaria, vigente da oltre vent'anni che ci ha riapportato tutti i guai noti storicamente. Pari, pari. Eppur si continua a parlare di impieghi, ma si intendono le speculazioni o le conservazioni finanziarie, frutto di chiusure e alienazioni, di accantonamenti evasivi e speculativi, anche sulla pelle delle maestranze, con le quali si è manifestato contro la "crisi". Per questa via, per questi impieghi, si è consolidata bancariamente una innominata consorteria degli utili reciproci, una sorta di para-società, nella quale i complici famigli sono diventati i servitori, degli uni e degli altri soci. A officiare il rito, sotto la cupola di un Tempio uno e molteplice, si è creata una cangiante schiera di santoni delle previsioni, dediti al crescente abuso della credulità, detenendo la quale lucrano ingaggi sempre più vantaggiosi, portando seco color che in lor confidano. Esiste conferma più convincente del consolidato adagio per il quale la banca è solo una cricca di ricchi?

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti