giovedì 23 maggio 2013

Connubi.

La globalizzazione combina le culture regionali e nazionali senza portare alla loro assimilazione. Si presume che la globalizzazione implichi l'assimilazione del mondo a un singolo modello predominante, occidentale e americano. Per quanto riguarda gli aspetti della vita che sono governati dalla tecnologia, quanto precede è vero, ma, da un punto di vista culturale, conduce, invece, ad un mondo eterogeneo di confusione delle "favelle", di coesistenza e di sincretismi. Talvolta, però, la compresenza si mischia agli elettrodi cerebrali, "converte" le menti ed estremizza i comportamenti dei neofiti. E' quanto è successo a Londra ieri. La caduta delle barriere militari e politiche ha comportato migrazioni di masse che si alimentano del mito. L'Unione europea ha cominciato ad opporvisi. La Cina ha troppa abbondanza di popolazione e il Giappone ha deciso di non praticare l' accoglienza. Il nord America e l'Australia praticano un'assimilazione quantitativamente selettiva. Gli ultimi migranti non devono recidere i legami familiari, culturali e sociali con la terre d'origine: Ormai le distanze si misurano in ore. Quasi mai i migranti sono analfabeti e questo indebolisce le culture egemoniche e le velleità di assimilazione. Si può dire che i migranti vivano in tre mondi: il loro, quello del Paese di emigrazione e il mondo globale. Alla seconda o terza generazione, i figli e i nipoti dei migranti saranno contraddittoriamente assimilati. In forme babeliche, cioè. Si pensi infatti che nelle scuole pubbliche ( popolari ) di Londra sono rappresentate oltre novanta lingue. Si aggiunga che, per ciascun gruppo, soltanto i propri interessi hanno importanza. Finché lo Stato non mette i bastoni fra le ruote all'Islam, ad esempio, per i musulmani che vivono in Francia, in Inghilterra o in Italia , la situazione degli ebrei, degli indù, dei cattolici o dei buddisti è irrilevante. Per questo, è indispensabile una forte identità e impronta laica degli Stati di accoglienza. Anche in Italia, chi vivrà, dovrà abituarsi alla compresenza di diversi mondi. L'esperanto commerciale e (sotto)culturale, è rappresentato dalla lingua inglese - come già anticamente il greco, che per la sua duttilità era non solo la lingua filosofica, ma principalmente quella dei commerci. Soprattutto, ma limitatamente alla Ionia, era la lingua della democrazia, storicamente imprescindibile dagli scambi in senso lato, ma, che, come diceva Demostene, è per sua natura degenere. Quanto sia purtroppo vero lo constatiamo in questa stagione di mezzo, con tutti i suoi miasmi e i suoi scadenti prodotti umani. Ma domani sarà sovrastata. Attualmente, il 90% dei testi scritti su internet è in inglese, perché nord americani e inglesi sono dominanti fra gli utenti della rete. Ma quando 1.500.000.000 di cinesi, i 500.000.000 di lingua indù e i 350.000.000 di lingua spagnola diventeranno internauti, il monopolio della lingua inglese e dell'alfabeto europeo finirà. Una guerra (sotto)culturale è alle porte. Il teorizzato scontro delle civiltà, negato sul piano bellico o parabellico - di cui ci sono pure evidenti testimonianze fattuali - sta per imporsi sul terreno delle identità.

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