domenica 19 febbraio 2012

Lo stato della democrazia.

La democrazia in Italia non gode di una buona cera. Il Parlamento ed il Governo sono commissariati da un'entità puramente finanziaria e, amministrativamente, ragionieristica. La possibilità di intraprendere e di lavorare è tarpata, non dall'art. 18 della Legge 300 del 1970, ma dalla pretesa di uniformare i bilanci di realtà troppo diverse fra di loro, per non ingenerare un'area continentale a troppe, diverse velocità, fatte sì di parentele, ma ricche, povere e poverissime. La storia, i costumi, le lingue, in una parola l'umanesimo che ne ha costituito l'essenza più importante, è negato in nome di un tecnicismo incolto e speculativo. L'acritica finanziarizzazione ha posto in stato di privilegio ma di potenziale pericolo le banche, che, per ora, sono le uniche beneficiarie dello stato di disunione effettiva in cui ci troviamo, beneficiando dell'approvvigionamento presso la BCE all'1%, con il quale, ormai alla seconda tranche, si ripromettono di correggere la loro esposizione in titoli non rimborsabili se non a prezzo di nuovi, ingentissimi prestiti, che cominciano ad affamare, letteralmente, gli strati indigenti delle popolazioni. Se questo sta avvenendo, mentre la capacità produttiva e di lavoro scema in fallimenti e licenziamenti, è perché le banche, soprattutto le più grosse, hanno dovuto sostenere i bilanci statali e infarcirsi di quei titoli di cui si vuol garantire il rimborso con un nuovo, letale, indebitamento. L'industria, grande, media e piccola, quando non chiude i battenti, si rattrappisce in una meschina rivalsa sui diritti dei lavoratori, che si sono materialmente edificati dagli anni '70 alla fine del secolo scorso, quando non sono stati più difesi da un modo sindacale alla ricerca di ruoli para-politici e para-istituzionali, fino alla resa incondizionata, ai medesimi fini, che è evidente a tutti, ora. A questo modello, si è ispirata anche la maggioranza della CGIL, quando al Governo erano gli "amici" dell'Ulivo. Sullo sfondo di questo estremismo padronale, che in Italia rischia ancora di degenerare in un corporativismo fascista e quasi e di cui i cattolici si fanno vessilliferi, secondo la loro solidaristica dottrina - solidarietà fra ricchi e poveri, fra le imprese e i suoi strumenti - l'ala estremista della CGIL, dapprima rappresentata dal Partito delle rifondazione comunista e oggi solo dalla FIOM, è venuta a rappresentare, restando immobile, l'unica alternativa dialettica al pensiero unico. Alternativa momentanea, perché in quanto integralista,se mai migliorassero le condizioni generali, rivelerebbe una natura settaria e tutt'altro che democratica, ma alternativa di grande momento. E necessaria. Perché quando per fare un lavoro di merda come l'operaio alla catena di montaggio bisogna negare le proprie convinzioni, altrimenti non si viene assunti né mantenuti nel posto di lavoro, sotto l'occhiuta sorveglianza e mediazione delle sigle ammesse perché complici, si può già affermare che la democrazia è tramontata. Democrazia è, infatti, facoltà di espressione per ciascuno in ogni ambito e se anche viene negata solo in alcuni ambiti è già morta per tutti. Ci si trova in un sistema intimamente diverso, nel quale i privilegiati ignorano le comuni esigenze di altri, degradati a schiavi. Quando, per ottenere questo scopo si cambia la ragione sociale delle Ditte, per mascherare il cambio di regime interno, come si è fatto per la banche maggiori e recentemente per la FIAT, si inaugura il Carnevale della sperequazione. La selezione degli addetti diventa politica e sindacale e sconfina nella costumanza individuale; mentre si invoca ipocritamente la privacy sui beni e sugli affari, si cerca di cambiare surrettiziamente la natura dei rapporti sociali. Quando, il lavoratore in concorrenza con i ritmi asiatici dei competitors del padrone, dovranno subire la pubblica umiliazione delle loro inefficienze, autoaccusandosi ed essendo accusati in un open space di colleghi e capetti, come avviene in Corea, Malaysia, Giappone e Cina? Se la locomotiva Italia ripartirà a causa della miseria incipiente dei suoi cittadini non investibili e la povertà sarà declinata con la criminalità, quale è, nelle intenzioni, il modello politico e sociale che si prefigura? Sarà un aggiornamento di sistemi gerarchici pseudo-morali, già sperimentati e già attuali nei Paesi guida della normalizzazione continentale, i quali, però, sono esenti da qualsiasi modifica del loro comportamento nei confronti degli altri partners, proprio perché più forti. Atti di dolore e di autoflagellazione levantini, nessuna possibilità di eleggersi dei rappresentanti di fiducia sui luoghi di lavoro e nessun fiato sui colli di Roma, là dove, in un nuovo Aventino, si è ritirata la politica, che spera solo di galleggiare sul liquame. Che ne è, che ne sarà della nostra democrazia, ora sospesa, da troppo tempo dormiente e che si è consegnata a tecnici organici a potentati sovranazionali? Si risveglierà la nostra democrazia? Nessuno ci bacerà per consentirlo. Toccherà a noi, a quella fetta disomogenea ma presente e non priva di qualità e competenze della società, rispalancare le finestre chiuse della democrazia, negata per il successo di entità non evidenti, ma, come sempre identificabili nella redditualità e nello statico privilegio. Nessun altro lo vorrà fare. La dialettica storica, sempre entropicamente comprendente la sua negazione, non conosce né deve conoscere soste. Non si può cominciare che dal lavoro,il lavoro che crea la ricchezza contro la finanza che la distrugge accaparrandosela. Per ora, un'unità di intenti, che non sia ipocrita, non è possibile. Non è possibile con chi finge di non vedere quel che è avvenuto a Pomigliano e quel che avviene nei call center, nelle Università, in quasi tutto il mondo giovanile che non ha la possibilità di impostare un futuro qualsiasi ed a cui sono riservate condizioni d'impiego schiavistiche o ricattatorie. Il trasporto stesso è diventato un bene di lusso. Chi non può permetterselo, resti a terra. Il trasporto urbano è sotto sanzione europea - tanto per cambiare - perché vetusto e molto inquinante. Con quali mezzi rinnovarlo? Non è affar loro: si deve e basta. Ormai tutta la società italiana è sperequatamente uniforme. Come società ci risolleveremo, sul piano civile, grazie ai resistenti che non gettano la spugna. Non importa se saranno misconosciuti. Ai poveri braccianti pugliesi, Giuseppe Di Vittorio insegnava a non togliersi il cappello davanti ai padroni. Dal dopo guerra, la società è cresciuta nei consumi e nella sua cultura civile grazie soprattutto alle lotte emancipatorie dei lavoratori che, con la loro tenacia e ben organizzati, hanno ripetutamente impedito ritorni a società autoritarie auspicate dagli egoismi insidiati. Hanno già salvato la democrazia. Spero che lo facciano ancora.

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