domenica 22 maggio 2016

Omologazioni ribassiste.

Il linguaggio dei supporters sportivi, che leggo su twitter, richiama e riproduce tutta la retorica della lotta per il successo e l'orgoglio compensatorio per l'animus pugnandi dimostrato dai perdenti. I vincitori non ne hanno bisogno: è implicito nel "trionfo". A giudicare dagli occhi lucidi e dal disdoro depressivo degli sconfitti, in una gara di palleggi e scarpate e dai volti grigi della dirigenza che non potrà introitare ricche, spropositate royalties per carenza d'investimenti ed insuffcienza di "cuore agonistico" di gladiatori inferiori, si evincono tristi riflessioni sui contenuti valoriali degli uni e degli altri. La massa migrante, di stadio in stadio, dei pecoroni a supporto, spesso foraggiata, attraverso sconti sui biglietti e sui trasporti, dalle società, è l'apparato ideologico ( in realtà si tratta di aspirazioni a benefici da due soldi, quelli appena descritti ) non solo per svagrsi un po', ma purtroppo per sentirsi "qualcuno". Fra i tifosi del Milan e della Juventus, in piccola parte torinesi e i neo squadristi di Casa Pound sfilati, sempre a Roma, in mattinata, corrono umori comunicanti. Parlo di quelli sche si scalmanano sulle gradinate. La subura calcistica è in espansione, come molte altre: lavorative, di costume e anche di sentimenti, demandati a facilitazioni che, quando non sono opportunistiche, sono da branco. Ecco, il branco non è solo quello che, vigliaccamente stupra, è diffusamente quello che si accalca e grida, non per un diritto negato o una necessità di cui nessuno si cura, ma per la "vittoria" di undici selvaggi come lui. Poi, borbottando di soddisfazione, mentre i fumi si spengono, vanno talvolta a distruggere o sporcare le vestigia del nemico, sotto forma di monumenti o prendendo di mira direttamente qualche tifoso avverso isolato. Il "controllo" reciproco nella "follia", è garanzia della sua prosecuzione. Non solo in ambito calcistico.

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