domenica 22 maggio 2016

Carta canta e villan dorme.

A leggere il rapporto annuale Istat 2016, il nostro paese è alle prese con una crisi che da qui ai prossimi anni produrrà altre conseguenze sociali devastanti, ma senza che ci sia più una reazione capace di fermare o invertire la frana. L'Italia è dopo la Gran Bretagna il paese dove le disuguaglianze economiche e sociali sono piu' accentuate, veniamo dopo il paese liberista per eccellenza, la ricchezza prodotta nel paese è finita o nella speculazione finanziaria, o nei conti esteri o è andata a incrementare la ricchezza dello 0,99 % della popolazione, rafforzando le posizioni di rendita. Una parte insignificante è invece finita ai redditi da lavoro. Oltre la metà dei lavoratori e delle lavoratrici italiani\e è in attesa del rinnovo dei contratti da anni, si ricorda che per tre milioni di lavorator pubblici l'attesa dura da sette anni e dopo i dati relativi al 2015 si apprende che nel primo trimestre 2016 i contratti a tempo indeterminato hanno ripreso a calare a vantaggio degli atipici e dei voucher (piu' 46 % solo nei primi due mesi di quest'anno) Stando ai dati Inps, lo scorso Febbraio c'è stato un calo del 33% dei contratti a tempo indeterminato, come era già avvenuto in Gennaio. Riducendosi gli incentivi (da 8066 euro annui per un triennio siamo passati ai 3250 per un biennio a partire dal 2016), il loro importo e la loro durata, anche i contratti a tempo indeterminato crollano: si conferma quindi il crollo dopo il taglio degli incentivi. Non basta sfruttare, non si assume se lo sfruttamento non è finanziato. Una ripresa economica gonfiata ad arte dai provvedimenti governativi, dagli sgravi fiscali alle imprese, dalle tutele crescenti che permettono ai padroni libertà di licenziamento pagando solo un piccolo indennizzo economico Se le statistiche Inps smontano l'ottimismo demenziale del Renzismo, nel sindacato e nelle realtà politiche non si va riflettendo per nulla sull'ultimo rapporto Istat. Il dado è tratto e la testa è sotto la sabbia. Sulla morte annunciata del ceto medio, che ha sempre garantito la maggioranza elettorale alla rendita minoritaria, si stagliano i movimenti squadristici e, in sede di analisi, ci sono atteggiamenti preoccupanti, tra chi di fronte alla proletarizzazione pensa che maturino le contraddizioni per una opposizione sociale piu' dura e senza la mediazione dei corpi intermedi e quanti invece non vogliono prendere atto degli scenari futuri di un volgo disperso che nome non ha. La proletarizzazione da slums. Solo le famiglie, come sempre in Italia, sono il welfare, ma che cosa accadrà tra dieci anni quando le pensioni saranno decisamente piu' basse perché calcolate con il sistema contributivo? Già adesso abbiamo una "forza" lavoro produttiva fino ai 67/8 anni, costretta a prolungare l'età lavorativa per inerogabilità di pensioni che saranno comunque decurtate. I dati Istat fotografano l'assenza di mobilità sociale, questo è uno degli effetti della crisi del ceto medio, sono i minori a pagare la crisi in termini di povertà, di riduzione delle opportunità, di abbandoni scolastici, di impossibilità di accesso all'università dalle rette privatizzate. In venticinque anni - sempre per l'ISTAT - la forbice sociale si è allargata, con la crisi del ceto medio non ci sono stati fenomeni di radicalismo sociale e politico ma un arretramento generale delle conquiste in materia di diritti e di lavoro. Un paese sempre piu' vecchio, che legge e studia meno della media europea, nel quale una categoria che non dovrebbe soffrire di disoccupazione o sottoccupazione se si decidesse di continuare a curare i malati, viene indicata dal Ministro della sanità in termini di "proletarizzazione dei medici". Vuol dire, nelle parole di un Ministro di destra, che la sconfitta del ceto medio e la crescita della disuguaglianza sociale inizia a produrre crepe nelle certezze , pur sperequative, del Governo, mentre affiora la consapevolezza che questa radicale polarizzazione tra ricchi e poveri rappresenti un problema anche per il buon funzionamento del modo di produzione capitalistico. Se da una parte la crescita dei trentenni senza reddito e senza prospettiva rappresenta una minaccia per l'immediato futuro, soprattutto il loro, dall'altra bisogna chiedersi se questa generazione di esclusi rappresenti in prospettiva un blocco sociale conflittuale e antagonista. La mia impressione è che la individualizzazione, piuttosto stolida, della società sia tale da scoraggiare reazioni appropriate. Manca solo - per poco ancora - per le persone senza alcuna fonte di reddito, il reddito minimo di cittadinanza, una sorta di pensione sociale che la demagogia di sinistra attribuì a chi non aveva mai lavorato, sottraendo le risorse a chi le aveva accumulate, anche attraverso le prime forme di accantonamento privato, oggi così in voga, nell'ignoranza e nella smemoratezza. Da qui a ipotizzare che questa massa informe assuma connotati conflittuali corre grande differenza. Gli Stati sovrani, nella vasta area minore del mondo finanziario, non esistono più e la ricchezza non si crea più attraverso la produzione di beni omologhi, reperibili dovunque.

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