lunedì 5 agosto 2013

Livree.

Come avrete notato, cari amici, i fogliacci del condannato - quando mai un altro reo ha potuto servirsene? - continuano a sottolineare la modestia dell'abbigliamento dei giudici che lo hanno condannato. Non potendo risalire a tutti e quindici, si limitano ai Presidenti di Corte o ai Pubblici ministeri. Ricordate il giudice Mesiano: portava calzini turchesi. Ilda Boccassini, la rossa, aveva calze invernali di lana a losanghe orizzontali, buttava le cicche per terra e trent'anni fa baciò sulla bocca un militante di Lotta continua, appena fuori dal Tribunale. Come poteva essere ritratto il giudice Esposito, colui che ha cassato la carriera politica e criminale del Capo? Come un uomo dal vestire trasandato, un ubriacone che, sotto i fumi dell'alcool, aveva anticipato la sentenza contro Vanna Marchi, al termine di una libagione. Come non sottolineare che si sarebbe vendicato per il licenziamento del fratello dall'ILVA di Taranto, avvenuto due giorni prima della sentenza a cura di soggetti diversi dal Berlusca? Ma tant'è. A parte le altre qualità attribuitegli, l'anziano magistrato ha asserito di essere sempre stato astemio e di essersi giustificato per la precoce partenza da un convivio, dato che incombeva la sentenza del caso Marchi, senza anticiparne i contenuti. Ha già presentato querela. Quel che mi ha ripetutamente colpito è la cafona insistenza sulla trascuratezza d'abito dei sentenzianti, come se fossero dei domestici della casa, tenuti a tener sempre ben stirata la livrea, altrimenti rei di lesa e servile esteticità. Questo propalavano i gazzettieri di corte, mentre il condannato si ritirava nel suo eremo con la fidanzata, che, travestendosi, potrà mitigare la sua nostalgia per le olgettine.

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