giovedì 8 marzo 2012

La vita è rappresentazione.

Le fogge, i remake, le riproposizioni periodiche che ci confermano inconsapevolmente nella credenza del cambiamento, vengono proposte da attori diversi, ma tutti accomunati da una sorta di di ufficialità rassicurante, calano cioè dall'alto. Invece, la creatività in maschera è stata spesso frutto delle compagnie di giro, dei guitti per necessità o pretesto. Lungo via Indipendenza sostano ogni giorno due mendicanti: una donna accasciata in avanti sulle gambe piegate e un falso vecchietto che, sopra gli abiti civili, porta un camice da internato in un ospedale psichiatrico. Trema, incedendo prono, reggendosi ad una sorta di gruccia. Sul petto, un crocifisso e, in mano, un cappelletto. Entrambi hanno lo sguardo rivolto al suolo, la donna appena in tralice, l'uomo di sbieco per orientarsi e tener d'occhio il movimento. Osservano un orario di lavoro: mattina e tardo pomeriggio, lei, la parte centrale del giorno, lui. Tutti e due praticano l'accattonaggio professionale, ma lui, in particolare, potrebbe anche essere un sacrestano alla questua. Chiedono un obolo in nome non loro, ma di un obbligo partecipe di sostentamento, appartenente ad altre epoche storiche ed economiche, in forma apparentemente itinerante e privata, bardati e in atteggiamenti scenici che, per avere successo, richiedono l'attenzione fideistica del pubblico o la distrazione fatale che si ammanta di superbia.

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