domenica 25 luglio 2010

Regolamenti...di ..conti.

Dopo il sequestro, da parte di un nucleo spontaneo di delegati sindacali, della dirigenza di un'azienda francese che stava per mettere in atto una massiccia riduzione degli organici, si sono verificati due casi di uccisione dei responsabili di un licenziamento di un cinquantunenne toscano, con susseguente suicidio e l'omicidio, preventivo all'allontanamento dal lavoro, di un dirigente piemontese.
Nel primo caso, l'omicida ha annullato le vite di coloro che avevano annullato la sua, accontentandosi dell'opportunità che si era procurato chiedendo un falso appuntamento d'affari e, risparmiando in tal modo, un altro correo, ai suoi occhi, momentaneamente assente.
Mancato raggiungimento del budget: non crei valore aggiunto, quindi lasciaci provare con un altro. Così si condanna all'indigenza una famiglia e si toglie dignità ad un uomo. Concetti "filosofici" per gli aridi ragionieri. Il sindacato è silente e partecipativo, cioè impotente ed anche politicamente non sa come sfruttare le attuali circostanze. Il sindaco si è sperticato in elogi dell'impresa che tanto lavoro, a cottimo, procura alla zona e i dirigenti superstiti si sono affrettati a dichiarare che la risoluzione del rapporto di lavoro era avvenuta consensualmente, sorvolando sul mobbing, le pressioni e l'entità della "buona uscita". Immediatamente si è reso pubblico che l'omicida era "matto", in quanto ricoverato due volte per depressione in un centro di riabilitazione mentale - adeguatamente pubblicizzato - probabilmente a causa delle performances richieste, della scrasa fantasia nel contar balle, del senso di inadeguatezza a spillar quattrini in un mondo più povero e fattosi avaro.
Chissà come avevano preso la cosa in famiglia ( all'atto dell'omicidio una figlia era in vacanza in Olanda ), se con calma comprensione o recite drammatiche ed accuse di inabilità morale nei loro confronti. Lui, poi, si è ucciso, tanto l'indigenza sarebbe rimasta comunque e, in fin di vita, desiderava solo "regolare i conti", adeguandosi in extremis alla mentalità che lo aveva precocemente escluso.
Nel secondo caso, l'omicida, che per ora non si è ucciso, ha forse voluto evitare tutto quanto precede, escludendosi da sé e punendo preventivamente il suo offensore.
Fatto sta che nel mondo dell'impresa ora serpeggia la paura, come, per diversa causa, ai tempi dei sequestri di persona. Delle punizioni morali, a venire, per definizione si procrastina il verifcarsi e si spera di fare in tempo a pentirsi, se e quando le attuali contingenze verranno superate, mentre delle materiali e risolutive, trascendenti gli scopi che ci si prefiggono con i licenziamenti ( lucro e mantenimeto delle condizioni di privilegio )si teme la stessa radicalità che si infligge ai sottoposti.
Questi due eventi ricordano, per altre cause in maggior misura psicologiche, le stragi nei college americani, ma anche le analoghe vicende di qualche licenziato in quelle terre liberistiche e flessibili, quando, probabilmente, all'allontanamento dal lavoro si sono accompagnate vessazioni di padroni, ma anche di colleghi, che hanno risvegliato in qualche rude prestatore d'opera un senso d'onore arcaico e di vendetta, pari al gretto tornaconto dell'imprenditore e alla suscitata mentalità da "bravi" dei colleghi.
Sono tragedie, si dice.
Lo sono, nel senso dell'omogeneità contraddittoria ( non sembri un ossimoro )della violenza quotidiana che si estetizza in ritualità ripetitiva e che non è riducibile a psicologismi, nei quali tutto si giustifica partendo da soggettive premesse. Soggettive, non oggettive, non "regole" di mercato, ma avidità ed indifferenza umana, anzi sottomissione dell'umanità alla violenza del privilegio da riaffermare e da non mettere alla mercé di qualche concorrente industriale più cinico e quindi più ricco, che del "tuo" approfitti per appropriarsene - per poi "razionalizzarlo" e trarne ancor più potere, dato che la ricchezza, sempre insidiata, è già assicurata.
E' una società, la nostra, nella quale conta ormai solo il "prezzo", a scapito di qualità e delle virtù necessarie a conseguirla e nella quale anche la vita può diventare - quando già non lo è - strumento di pagane velleità, che riducono tutto a vanitas.
In questo senso, mi dispiaccio, ma non mi scandalizzo dei riti sacrificali, apparentemente contrapposti, in realtà speculari, messi in atto nel mondo del lavoro in un'arida e ( avvertita ) come solitaria estate.
P.S.
Giunge notizia di un terzo omicidio, anche questo preventivo, a colpi di mazza da baseball, come il primo in provincia di Lucca.
Zona di polemiche ferventi e di litigiosità costante, che si trasforma in atti estremi, al declinare della dialettica, necessaria a recitare, per non attuare, gli eventi sacrificali. Senza la libertà delle parole, se la necessità azzera le "illusorie" facoltà umane, evidentemente, non resta che la morte disperata.

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