giovedì 29 luglio 2010

Epigrammi

Anche padre Pellegrino Santucci se ne è andato. Il frate servita che aveva fatto della cappella musicale, una delle più raffinate sale auditorium della città, ha chiuso il suo ciclo.
Lo ricordo austero e distante, con la sua magrezza, sulla quale spiccava il naso aquilino, simile nell'aspetto e nel portamento a Pio XII, della cui Chiesa è stato espressione e in qualche sua predica di mezzogiorno, nel corso delle quali non mancava mai di profferire invettive savonaroliane, contro l'amorale società borghese.
Ho appreso dai giornali che si era recato ad Hal Alameyn, sulle orme delle battaglie antimoderniste del fascismo internazionale. Fascista, padre Santucci, lo era sempre stato, convinto com'era dell'assoluta coincidenza fra l'ordine naturale e la prassi fascista. Ai suoi funerali, alcuni fra i presenti, uomini e donne, hanno salutato il feretro romanamente e fra questi, ho notato con sgomento, in una foto, una ragazza. Sapevo che lo frequentavano i peggiori catenacci del latifondo agrario: uno per tutti, il conte Molza, che frequentava il borsino della Banca di Roma. Bel connubio della destra ideologica, anzi spirituale e fuor di reltà, fra raggrinziti possidenti e cappellani di corte. D'altra parte, la Bologna del ventennio è stata una delle città più nere d'Italia, per piaggeria ed imitazione, ed ancor oggi, il fascismo, pur mascherato in indistinti movimenti, conserva con il diciassette per cento dei suffragi, il secondo posto fra i partiti cittadini. E' un fascismo crepuscolare ma tutt'altro che dimesso, che si nutre della sua presunzione e che considera i non appartenenti alla sua reticolare cosorteria, persone inferiori in rango e in dignità umana.
Padre Pellegrino Santucci, che considerava la musica colta e di corte la più alta espressione della spiritualità umana sta forse godendo delle melodie aristocratiche che pensava costellassero il paradiso. Se così avviene, è certo in qualche luogo riservato ed elitario, ben lontano dalle sguaiate sinfonie e canzoni popolari, dal ballo baccanale e dalle plebee espressioni delle anime non qualificate, che sono state dedite alle concrete espressioni dei corpi corruttibili, che lui ha preteso di superare in un'apoteosi psichica, non dissimile da quella di un maggiordomo, sia pur coltissimo, alla corte di qualche volgare signorotto.
Tante anime plebee, melomani e musicofile, più dedite alla socialità, ne hanno condiviso la passione e pur senza associarlo a sé si sono sentite gratificate e grate al delicato amante delle armonie. In questo sta la confusione delle appartenenze e delle prospettive, nelle quali la ricchezza, statica, appare illusoriamente una possibile risorsa a cui attingere e in questa confusione mistificatoria, che gonfia i cuori e tacita le coscienze, sonnecchia intatto lo spirito del fascismo, in un'apoteosi di violini espressione, come sosteneva Bellini, del trillo del diavolo.

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