martedì 12 marzo 2013

Riavvolgimenti del nastro..

A leggere il Corriere della Sera di domenica scorsa, sembrava di essere tornati alla mia infanzia, quando le sensazioni circa l'agitarsi inane del mondo entravano quotidianamente in casa dei miei genitori, sotto forma di stampa, mentre la ricchissima biblioteca mi familiarizzava con ipotesi, ancor vaghe, di cultura che non fosse riservata all'imprinting domestico, pur generosso e ricco, a un ambiente specifico e compiuto in se stesso, di riferimento. Il direttore, Ferruccio De Bortoli, mio follower, ricambiato su twitter, pregava in prima pagina, con l'articolo di fondo, Giorgio Napolitano di farsi rieleggere, per mantenere un riferimento decente nella comunque malmentosa politica italiana. Strano, ho pensato, il più grande quotidiano delle borghesia italiana ridotto a supplicare un comunista di fare quello che, secondo una rigidissima prassi interna - che non ho mai condiviso, pur apprezzandone il peso culturale - i cardinali-comunisti sono sempre stati ed hanno sempre fatto. A un ottantottenne si chiedeva di salvare il salvabile, mentre anche il Papa, con signorile autonomia, aveva deciso ed attuato di abdicare. Il foglio dei lorsignori milanesi aveva a cuore le istituzioni o - come penso - un certo tipo di esse e, soprattutto, un uso istituzionale, che coniugando la conservazione della ricchezza e quella del potere, sapesse imporre la sua gravità golpista sulla volontà popolare, di nuovo ostaggio e territorio di razzia di potenze straniere, straniere in particolare in termini culturali, psicologici e civili. Gli proponeva, con malcelata malizia, di rimanere a fare il pagliaccio o l'uomo di paglia della situazione, suggerendogli di lasciare dopo due o tre anni se l'ingravescente aetate lo avesse schiacciato. Si trattava solo della perorazione a prolungare i giochi dei partiti e delle classi dominanti, inopinatamente interrotti dal rifiuto montiano di galleggiare sulla sfiducia belusconiana. Pare che Napolitano, che pur ha tradito una volta, per superiori fini, il mandato popolare ma ha ricevuto la tempra dell'aristocratico illuminista napoletano, prima di calarsi in quella marxista nella vulgata di Antonio Labriola, non se ne dia per inteso. Speriamo che mantenga fermo questo propositoo. Sempre sullo stesso quotidiano, domenica scorsa campeggiava un articolo inpregnato di romanticismo di un altro opinionista ben retribuito in una professione nella quale i soldi sono riservati solo ai pifferai di regime, questo o quello. Cosa diceva di così essenziale costui per il manifesto della borghesia meneghina? Si scioglieva, novello Gioberti in un neppur dissimulato neoguelfismo e auspicava, quasi invocava lo Spirito Santo, di darci ( a noi Italiani? ma La Chiesa non è universale? ) un Papa italiano che, dopo trentatre anni di astinenza, sapesse supplire alle ancora una volta constatate magagne della gestione civile. In cuor suo, il quotidiano di via Solferino, rimpiangeva la massoneria sabauda che alla Chiesa aveva fatto, sul piano politico e temporale, le scarpe, ma, consapevole della mancata riproduzione di siffatta schiatta, era pronto a ripiegare sulla più frusta riedizione dell'alleanza fra il trono e l'altare, restituendo a salvaguardia degli interessi più conservatori e retrivi, alla Chiesa e al sanfedismo una delle sue storiche, ma speriamo superate, caratteristiche vandeane. Un Papa da Milano e di Comunione e Liberazione, poi, sarebbe il massimo. Mala tempora currunt.

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