martedì 19 marzo 2013

Dietro la maschera.

Ogni ecosistema è tale non per le sue manifestazioni evidenti, ma per l'humus che le sostiene e che le rende rappresentabili, casomai ingannevolmente evidenti. Verrebbe quindi da chiedersi se l'abnegazione, di per se, sia sufficiente al conseguimento dei fini dichiarati, non una volta per tutte, ma continuamente, incessantemente. Sembrerebbe di no, se ci si sforza di scrutare sotto la cortina fumogena abbondantemente sparsa. Il presunto successo - spesso non è oro quel che luce - sembra riposare su una studiata metodologia speculativa di ogni possibile appropriazione di "stockaggio", sia che riguardi la concorrenza sulle suggestioni riguardo la sorte delle aziende in dificoltà e dei risparmi ivi custoditi, sia riguardo all'uso da farsi delle ridottissime risorse umane da spendere sul mercato. Si tengono riunioni nelle quali vengono indicate alla nostra Condor air force, le possibili prede in difficoltà o già agonizzanti, nostro destinato bottino e si consumano insultanti sceneggiate e reprimende se i risultati attesi non vengono conseguiti, a causa dei rendimenti inferiori offerti. Si pretende, infatti, di favorire l'infedeltà nella cattiva sorte verso aziende in via di commissariamento, secondo un modello distruttivo di appropriazione di ciò che c'è, sfruttando difficoltà e rallentamenti di chi lo detiene. Oltre al disgusto che il metodo, sterile, comporta e che mi fa propendere - non da oggi - per l'opzione pubblica, cioè statale del sistema creditizio, il reticolo inibisce le potenzialità del mercato e, insieme a queste ultime, delle prebende di una categoria che si è mantenuta per decenni al di sopra della media retributiva, riservata al lavoro dipendente e ne riduce le competenze ad una indiscriminata capacità di vendita, ormai indistinguibile da quella di un commesso di negozio. Si spiegano così anche certe scelte meridionalistiche. A metà degli anni '90, tutto il sistema dei banchi meridionali perse ogni autonomia, venne commissariato e, per influenza della Banca d'Italia, fu assegnato ai grandi gruppi bancari. Codesti si accollarono, per questa guisa, oneri crescenti; per sostenerli si dovettero ripetutamente fondere, al dichiarato scopo, per ora rivelatosi velleitario, di costituirsi una base patrimoniale di sostenibilità. Mentre aumentavano di dimensioni, lasciavano per strada numerosi rami d'azienda potati sui quali si avventavano banche e banchette che sottoponevano le acquisizioni a sistematici processi di adattamento e di pulizia etnica. Qualcuno, credetemi, ha infatti rilevato a prezzi di saldo, numerosi sportelli e piccole banche locali, membra sparse di una diffusione a macchia di leopardo, tendente all'ispessimento, ma di rado all'onirica redditività. Ecco quindi che, sotto traccia, prima se ne convertono alcune e poi si comincia a chiuderle, continuando a infierire sulle già tartassate maestranze e ad esclusione di alcuni direttori, prontamente convertitisi, in quella veste, a qualsiasi professione di fede e di qualche "titolare" di portafoglio fiduciario, "raccomanadato" dai suoi fidelizzati clienti. Checché se ne vada cianciando, la gestione corrente continua a basarsi sulla riduzione costante dei costi, proporzionale all'ampliamento della rete e al conseguente indiscriminato incremento della fungibilità e della mobilità territoriale, anche fra aree professionali differenti, in rapporto all'aumentare dell'età e al ridursi delle forze, al trasparente scopo di indurre nei ranghi il maggior numero possibile di dimissioni. La linea del Piave, che cerca di conservare i confini ma che non potrà portare a nessuna vittoria, è diventata l'assoluta discrezionalità di sfruttamento di ogni strumento, nudo: senza inquadramenti, senza orario di lavoro ed evadendo con ogni strattagemma ed ogni complicità, incrementi degli oneri contributivi. La gestione ordinaria di realtà siffatte, si basa in buona parte su lavoro intermittente, a chiamata, poco remunerato alla luce delle convocazioni e delle destinazioni senza preavviso, di pigioni neppur supportate da un contributo aziendale, di un nomadismo verso ridotte lavorative, sopportabile solo grazie ai contributi al sostentamento della famiglia di origine. Oggi, infatti, il lavoro "viene fatto mancare" anche nelle aree ricche, anzi sempre più ricche, ma per pochi, fortificati soggetti, sempre i medesimi, a ben vedere. L'uso e l'abuso della forza lavoro viene esercitato attraverso una calibratissima analisi delle possibilità di incremento reddituale di ogni singola attività svolta, della temporizzazione delle medesime e comportano una appropriazione del potenziale tempo libero di tutti e di ciascuno. L'adattamento o l'abiura avvengono attraverso lunghissimi periodi di prova, durante i quali, o si fa acquisire l'abito mentale della propria enfatica alienazione o ci si può liberare per tempo degli infiltrati, verso i quali il trattamento ambientale si esercita continuamente, anche se non sono soggetti a contratti a termine.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti