mercoledì 26 agosto 2009

Fine di una dinastia democratica.

Ted Kennedy è spirato. Solo due giorni prima aveva pregato i suoi colleghi democratici di sostituirsi a lui nell'appoggio ad Obama. Già gonfio ed instabile nell'equilibrio, aveva perorato la causa del primo presidente nero al Congresso di investitura. Ultimo di una controversa trilogia che, dal pulpito della ribalta americana, aveva suggestionato gli animi più freschi in ogni parte del mondo, era stato il più ordinario e banale dei tre. Dopo la morte di entrambi i fratelli, non si era candidato alla presidenza; con i fratelli aveva condiviso il costume di praticar gonnelle, anche ospitando nipoti violenti e tossicodipendenti. Non aveva saputo far di meglio - per il blaosone della famiglia, che aveva fatto affermare ad un anchormen: non so se si tratti di una dinastia di statisti o di maniaci sessuali - che farsela con la segretaria, salvo non far nulla per salvarla dall'annegamento, successivo ad un incidente d'auto da lui provocato. Della tempra democratica di questi irlandesi, immigrati ma ricchissimi, cattolici e sporcaccioni, non è dato conoscere direttamente. Più che atti concreti, hanno al loro attivo un'ideologia liberale e solidale, non molto condivisa, a quanto pare, data la fine che hanno fatto. L'appartato Ted ha continuato a fare il senatore, predicando in significative occasioni lo stesso verbo dei fratelli, con un eco molto più ridotta. Pur non volendo competere, quando si è profilata all'orizzonte, ammantata dalla stessa capacità oratoria, una figura di rottura - molto più prudente di loro - con l'establishement, l'ha difesa con retorica passione, riallacciandosi alla sua idealistica tradizione familiare.

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