mercoledì 2 giugno 2010

Finzioni o apparenze.

La rappresentazione artistica è finzione, apparenza fornita ai sogni, non necessariamente romantici, degli spettatori.
Lo si affermava, il 26 Maggio scorso, nel musical: "Hollywood - Ritratto di un divo", interpretato con felice maestria dal Gruppo teatrale del Liceo Marco Minghetti di Bologna.
E' stato un lavoro di livello, meritevole del prezzo del biglietto e nel quale i giovani attori hanno cercato di dare il meglio di sé, applicandosi per mesi nello studio, nelle prove e nel canto, nonostante i gravosi studi quotidiani.
La serata e il loro sforzo sono andati a beneficio di associazioni ed enti morali, la cui opera - se meritoria o meno - lo sanno loro! - è stata lo spunto-pretesto per offrire agli interpreti la possibilità di esprimersi. Ci sarà chi lo avrà fatto con spirito carrieristico - forse il giovane attore drammatico Lorenzo Pullega, interprete di John Gilbert, per estetica vanità - sia detto senza deminutio, ma come caratteristica, semmai non prevalente - come le già mature e apparentemente sicure di sé, ragazze. Una citazione va riservata alla moglie delusa di Gilbert, dotata di grande personalità e capacità di riempire la scena. Bravissime, in particolare, le due Greta Garbo: quella con la valigia degli esordi e la cinica e arida diva realizzata. Da chi?
Non certo dall'amore da set di Gilbert, utile solo per gli esordi, bensì dalla vena speculativa e cinica, come quella della diva, del produttore Louis Mayer, anch'esso offerto nella duplice versione di un rozzo e vitalistico decisionista, quasi un capo cantiere attrezzista e in quella rifinita e caratteriale interpretata da Pietro Riguzzi.
L'interpretazione del giovane attore, più giovane della media dei compagni di scena, è stata la più ricca di contenuti psicologici. Il suo Louis Mayer è dotato d'intelletto, piegato al calcolo economico come a quello sensuale, causa, il primo, e conseguenza, il secondo, di uno status di potere da difendere, anche e soprattutto dalle influenze morali o pseudo-morali di un ambiente corrotto ed anche effimero, eppur capace, come tutte le cose umane di contemplare intrinsecamente l'aldilà delle contingenze e di contraddirne le esigenze deterministiche, almeno interiormente.
Riguzzi-Mayer, in questo senso, volteggia a dieci centimetri dal palcoscenico e ci offre saggi di maestria, frutto della sua applicazione costante, della serietà del suo studio, reso possibile dall'evidente amore per il teatro, vetrina culturale della pantomima dell'uomo, delle sue finzioni che tradiscono in continuazione la sua verità. E' del grande interprete, indipendentemente da considerazioni anagrafiche, saperne tradurre le caratteristiche e farle sue. E Riguzzi ci riesce, ogni volta che entra in scena, come solista o come cointerprete, dando sempre un connotato specificamente suo ad ogni performance. Pur essendo evidente la cura dei dettagli scenici di cui si è appropriato, Pietro li esegue senza manierismi scolastici - che pure ha sequenzialmente approfonditi - e li supera nell'interpretazione.
Delicati e piani i motivi cantati con acquisita tecnica e voce chiara e modulata, sia individualmente sia in incalzanti duetti. Rapsodici i bozzetti mimati, come quello della scelta della futura attricetta, in fila per i favori dell'impresario.
Nel canto di Pietro Riguzzi abbiamo riconosciuto le qualità raffinate di un attore in piena evoluzione, che non si presenta in scena, come nelle altre occasioni della vita, senza essersi preparato a gestirle, pur non disdegnando nessuna parte che compone il mosaico, sempre rispettabile, ma non per questo armonico, del teatro della esistenza, nella quale, con applicazione variabile e senso di appartenenza graduato, ogni giorno recitiamo, quale che sia l'obiettivo, pratico o di senso che perseguiamo, spesso confondendone i termini. Pietro sa già ricondurre ad unità sintetica, ma non dogmatica questo agone, mantenendo con divertita partecipazione i tratti umoristici della vita.
Complimenti sinceri!

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti