domenica 13 giugno 2010

Commento al "Paese delle prugne verdi" di Herta Muller

Il paese delle prugne verdi, di Herta Muller, scoperto e pubblicato da una piccola casa editrice, ante famam, - oggi i diritti sono stati acquistati dalla Feltrinelli, come quelli di un altro Nobel, José Saramago, dopo che quest'ultimo ha litigato con la Einaudi, per via di Berlusconi , mentre la Marsilio editrice è riuscita a proporre una saggistica breve, quasi novellistica dell'autrice - si apre, si sviluppa e si chiude attraverso una narrazione a flash back, del tutto primordiale rispetto ai fasti editoriali ( se il mercato sarà propizio ) che si prospettano. Il contesto è quello del Banato, regione rumena di lingua tedesca. Uno dei lasciti dell'orribile strage della prima guerra mondiale, una delle cause addotte, della seconda, che anziché razionalizzare quelle situazioni di stranieri in patria ( che riguardava e riguarda anche etnie ungheresi ) produrrà un assetto bipolare in Europa e nel mondo, in via, ora, di riassetto precario e, al di là delle intenzioni dichiarate, necessariamente instabile.
Clima di miseria e di alienazione, di estraneità e "assurdo" dolore, catatonicamente vissuto, giustificazione e premessa di una morte interiore.
Una realtà che, prefiggendosi di escludere qualsiasi sentimentalità nella vita umana e schiava di un determinismo ideologico materialistico, riduce le persone a sagome informi, apparentemente inerti, eppur sofferenti.
Drammaturgicamente affine al teatro dell'assurdo di Samuel Becket e agli uomini ridotti a rifiuti di Eugene Jonesco, che traggono il loro humus, il primo dalla livida e poverissima Irlanda e il secondo da una superba cultura gallicana che si avviava, dopo essersi liberata dalla vandeana e feudale mentalità latifondistica e nobiliare, verso la vertigine del vuoto, della mancanza di senso, della Nausea esistenzialista, astratta e attratta come una calamita, dal comunitarismo astratto, senza identità.
La narrazione procede a strappi e imbozzola gli avvenimenti che non conoscono nessuna fluidità. Eppure è la vita delle protagoniste inizialmente, dei protagonisti, in seguito, estraniata e ripiegata su se stessa: silenzio e paura. Quando l'assurdo e l'abuso si sedimentano nella coscienza di Lola, ecco che la morte, autoinflitta, pone fine al vuoto, per precipitarsi in un'altra voragine buia.
L'ufficialità del sistema si accorge di lei e la prende in considerazione, dopo averla arruolata, solo per espellerne la memoria e, per farlo, ribalta la verità, piuttosto che la prassi.
Il suo diario, l'autocoscienza della vittima, viene sottratto e le compagne che hanno assistito inerti al suo sfacelo, sono chiamate a decretarne "democraticamente" la rimozione. Al posto loro - chiarisce l'autrice - Lola avrebbe fatto altrettanto, perché la dittatura non prevede variabili.
Solo la morte della poveretta, atto di estrema contraddizione, rianima le menti e i cuori sopiti e impauriti.
Il ristretto eppur vago mondo circostante si riempie di figure afasiche, simboliche nella loro catatonicità. La povertà e l'oppressione coartano la fantasia e la creatività e consentono solo rattrappite sensazioni notturne, al riflesso di una luce, di un bagliore dell'immaginazione, in una immobilità timorosa.
Un mondo di pazzi, di alienati, anche se la pazzia viene dall'esterno e non consente deroghe.
Tre ragazzi che non vogliono accettare il suicidio di Lola, la surrogano nel cuore della sua amica narrante.
Tutti e ciascuno aspirano ad andarsene, per conoscere un'altra, vagheggiata realtà. In questa, solo il dittatore e i suoi favoriti stanno bene e non si curano del sentore di morte che instillano. Perché loro continuino a sentirsi felici è necessario che tutti gli altri soffrano e temano la delazione e la punizione.
Il Banato è il paese delle prugne verdi, frutto facilmente accessibile e avidamente consumato, pregno dell'asprezza della miseria e dell'estraneità.
Le vite dei protagonisti sono costantemente interferite e controllate da visitors, fantasmi quanto mai concreti, ma anonimi che tutto requisiscono, alterano, nascondono. Sono gli agenti e i confidenti della Securitate, la cui identità può essere solo sospettata.
La comunicazione fra le persone è monca: il tradimento della fiducia può avvenire anche all'interno della prorpia cerchia familiare. In qualsiasi momento, chiunque può essere indotto o costretto a tradire, anche solo avvalorando una tesi precostituita.
Il contesto narrativo è emblematico di una società arretrata, ancorché totalitaria, nella quale sopravvivono, senza contraddire il sistema, solo i sentimenti e gli atti più bassi. La corrispondenza che non riceveva risposta poteva essere l'esito dell'indifferenza del destinatario, ma anche dell'intercettazione della censura. Un carcere.
I tre ragazzi e la narratrice vengono ripetutamente sottoposti a delle perquisizioni; gli vengono aizzati contro tutti i compagni di "quadrilatero", contenente le case assegnate dallo Stato. Capita che alcuni testi, lettere e appunti vengano requisiti, senza essere compresi, perché scritti in tedesco.
Una ulteriore ghettizzazione, nel ghetto generale.
Gli attori, non certo i protagonisti, della meccanica rappresentazione, sono malati, tarpati mentalmente e moralmente. Lola è stata distrutta dagli abusi gratuiti e irresponsabili e dall'insensibilità circostante.
Le popolazioni di confine inglobate come minoranze fra etnie a cui non si sentono affini e pur omologate dal comunismo, conservano intatti i pregiudizi e i particolarismi, che la convivenza coatta incrementa.
Anche i sogni sono da "realismo socialista". Misere cose stantie, simbolismi aridi, flash back di significati psicanalitici. Grevità; una assoluta mancanza d'amore. La vita relazionale è interdetta, fatta di riti maniacali, che servono a frapporre un diaframma, un filtro per ogni atto, parola, intenzione.
La narrazione continua, più di quanto non si sviluppi, per figurazioni secche e spoglie, percorre un terreno sterile, in un ambiente claustrofobico, nel quale, le persone, i soggetti, sono gravemente malati e la prospettiva è negata.
Tutto avviene nella catatonia e senza risorse materiali e morali.
Alla povertà, in senso lato, si aggiunge lo sradicamento. La scrittrice non omette, anzi sottolinea ripetutamente che il padre, soldato delle SS, ha cantato le lodi di Hitler fino alla morte: il Reich che non fu e che lo ha costretto ora in un ghetto straniero.
Gli abitanti del Banato possono sconfinare solo nella contigua Ungheria, dove, a parti conformi o invertite, Rumeni e Ungheresi possono continuare a tormentarsi, a seconda della linea di confine che li incorpora. I Tedeschi, diffusi un po' dovunque nell'Europa continentale, sconfitti, si trovano un po' dovunque, profughi un po' particolari e non immuni dalla presunzione che aveva portato il terzo Reich a tentare un'assimilazione continentale, nella quale avrebbero avuto una veste padronale sugli altri popoli, ideologizzati come inferiori.
Allo straniamento si aggiungono le investigazioni, gli interrogatori e le vessatorie perquisizioni di un grigio burocrate statale.
La vita sentimentale non esiste; si riduce a rapporti occasionali e vissuti attraverso un filtro che anestetizza la possibilità di amarsi.
Una comunità privata di ogni tradizione culturale propria ed impedita dal confronto simbiotico con le altre, nel cui ambito, invece, alligna la rivendicazione linguistica, che esclude, a sua volta, gli "stranieri".
Il testo assomiglia a un test psicoanalitico, per immagini ed associazioni di idee.
Costante è il desiderio di emigrare, contraddetto dalla reclusione nel proprio Paese, anzi in quella regione del Paese che era appartenuta ad un altra nazione i cui costumi si condividevano, nella quale l'appartenenza, anche un po' razzistica, si sentiva di più per la periferica vicinanza ad altri popoli, non amati.
Aridità, stanchezza morale. Residuano solo le suggestioni di fuga, di evasione, fino a che, l'unica possibilità contemplata si affaccia: il suicidio. Quando l'esito è scongiurato, è solo per quel poco di amicizia che si riesce ancora a coltivare
Georg, uno dei ragazzi, che era già stato ogetto di pestaggi ed era inviso al regime, ottiene un permesso di espatrio. Due settimane dopo, a Francoforte, vola dalla finestra di un palazzone. Libero dal controllo alienante ed asfissiante della Securitate, non doveva vivere. Anche nelle associazioni dei profughi all'estero, militavano figure ambigue.
La morte del compagno non scoraggia due dei tre superstiti; solo uno, che si sente ormai un fallito, non avverte più il richiamo della "madrepatria". Fanno domanda d'espatrio e l'ottengono. Sono morti gli ultimi parenti nel Banato e le figure simbolicamente assurte a modelli. Nel frattempo, Kurt ha esaurito la sua spinta vitale e, di li a poco, morirà. La pallida amicizia di Teresa, ripudiata dal marito perché incapace di avere dei figli, durerà poco. Malata, scomparirà, lasciando a Kurt l'estrema via di fuga della corda alla quale si appenderà, anche lui suicida.
Kurt, prima di morire, aveva ritrovato l'energia per immaginare una nuova vita in Germania ed era tornato sulle sue primitive decisioni, chiedendo a sua volta l'espatrio.
L'impulso gli era venuto dalla delusione per il mutato atteggiamento di Teresa che, dopo una escursione in Germania, aveva preso ad evitarlo ed a fare la delatrice.
Aveva ceduto ad un ricatto, aveva negoziato la sua relativa e controllata autonomia con il tradimento dei compagni e dei concittadini.
Lo sgherro Pjele compare nell'ultimo bozzetto, mentre cammina per mano al nipote. Mistura di sentimentalismo e corruzione in fieri, abiura della coscienza.
Estraniarsi e rimanere muti provoca risentiti imbarazzi; dire la propria significa esporsi alla derisione e allo scherno.
Una schematica ma efficace summa della miseria opportunistica di uomini e di donne, fino alla persecuzione per indurre alla disperazione, fino all'omicidio. Connivenza per convenienza e realpolitik, anche da parte di chi non è costretto nella morsa della dittatura, come le associazioni dei profughi, fuori dai confini rumeni.
L'opportunismo omicida è stato anche interno al regime: la rivoluzione in diretta televisiva, diretta da Jon Jliescu, numero due e braccio destro di Ceausescu, il processo pubblico e la fucilazione dei despoti, marito e moglie, secondo il modello pubblicitario e coinvolgente a rima baciata del comunismo, utilizzato per contrappasso....
Però, al di là della vicenda storica, l'humus amorale non si trova solo nel Banato, in Romania e nel comunismo. Su questo è utile meditare, alla luce delle esperienze empiriche di ogni giorno, di ogni ambiente, di tante situazioni. E' questo il contenuto specifico e generale, che l'opera ci consegna.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti