mercoledì 17 ottobre 2012

Mutanti.

Ricordate gli antichi profeti che, con il potere della loro visione, creavano un popolo? In questi tempi cupi di capitalismo reale, la profezia è appannaggio delle aziende, dei loro house organ. Gli Stati cedono la loro sovranità ad entità sovranazionali, in pratica al nucleo-Paesi con i fondamentali economici più forti e si subordinano, subordinando i rispettivi popoli, al maggiore incremento dei records della nazione leader, di cui il maggior incremento societario non è che il corollario e, insieme, il fondamento. All'Internazionale dei popoli si sotituisce l'Internazionale die capitali. La forza-lavoro è mobile e a disposizione, anche se, nella fase giovanile della sua esperienza, crede o si sforza di credere, di inseguire un proprio obiettivo, che sfugge continuamente, mentre si realizzano gli obiettivi del capitalista che, alla prima occasione o alla prima difficoltà nel mantenere la propria appartata, egoistica separatezza da ogni obbligo partecipativo, scioglierà la compagine e i sogni in un'entità più utilitaristicamente omogenea. Per questo i partiti politici tradizionali sono al capolinea e nuovi condottieri, forieri di pochi slogans distruttivi, innovatori e liquidatori del preesistente- in linea perfetta con la volontà implicita del capitalismo reale, che può dissimularsi nel cicaleggio replicante degli occasionali opinions leaders -, si affacciano sulla scena. Anche i sindacati hanno perso ogni credibilità e la opposizione al sistema si è spostata, come alle origini, nelle associazioni spontanee. Il capitalismo reale, che trae alimento dalle crisi che provoca, è imploso nel 2008, ma nessun Gorbaciov ne ha messo in discussione i criteri, né né gli esiti. Il capitalismo non conosce, non rispetta, nessuna organizzazione statale. L'importanza dell'informazione e della comunicazione negli apparati repressivi, aziendali o politici, è accentuata dal fatto che le pratiche di lavoro e della produzione sono sempre più mediatizzate. Possiamo, quindi, andare dove vogliamo, anche in vacanza, che si vorrebbe ridurre ad un'interruzione breve fra un'attività e l'altra ed essere ancora al lavoro, cioè, in qualunque luogo andiamo, stiamo lavorando. Mediatizzando, sfuma la distinzione fra lavoro e vita. I media, inoltre, non rendono passivi, se non nell'obbedienza all'imput predeterminato. Fatto salvo questo limite, non da poco, impongono, infatti, una costante partecipazione, una ininterrotta attenzione. Quello appena descritto è il modello informativo, strumento del potere, sia esso aziendale o espressione dell'ordine rapinatorio degli Stati post democratici, che creano e conservano, ai fini della produttività schiavistica, la etnia degli indebitati. Esistono due tipi di comunicazione: quella morta e celebrativa degli apparati aziendali, che rafforza il funzionamento della disciplina e le relazioni di subordinazione e lo scambio dell'informazione viva fra i lavoratori, che può, potenzialmente, essere mobilitato in azione comune e in insubordinazione. Per questo motivo, viene osteggiato in tutte le maniere, dalla omertà, eletta a sistema, circa vicende repressive ed intimidatorie della vicenda aziendale, esattamente come avviene per pari situazioni,negli Stati ed apparati totalitari, proprio perché da essi stessi suscitate, ma che, stante la natura finalistica della struttura, non devono trovare una fisiologica, sana, pubblica espressione. Si creano filtri di accentramento-intercettazione presso figure direttive e/o di fiducia, deputate allo scopo, perché disperdano ogni possibile rivendicazione e favoriscano ogni accordo particolaristico, compatibile con un range di possibilità già previste, si attivano e si sollecitano atteggiamenti condizioantori, pressanti e spionistici. Un ruolo cardine nello spengimento di ogni velleità, hanno, in questo contesto, i cosiddetti sindacati gialli. L'abdicazione dell'Unione sovietica e il trionfo di un neo-liberismo, privo di basi reali ed in balia delle apparenze finanziarie, hanno comportato una trasformazione sociale e fabbricato nuove figure di soggettività. L'egemonia finanziaria e, quindi, bancaria, ha prodotto l'indebitato. Mentre il debito diventava lo strumento principale con cui affrontare le necessità sociali, la rete sociale di sicurezza è stata sgretolata. Un numero crescente di persone e di famiglie sopravvivono contraendo debiti e si trascinano sotto il peso e la responsabilità di onorarli. Il debito ci controlla, detta il nostro ritmo di lavoro e determina le nostre scelte. L'effetto è di costringerci a lavorare sodo e senza distrazioni. Il debito esercita un potere morale le cui armi principali sono la responsabilità e la colpa. L'indebitato è coscienza infelice che rende la colpa una forma di vita. La propria vita è stata venduta al nemico che ne trarrà profitto. Esisteva, un tempo, una massa di lavoratori salariati; esiste oggi una moltitudine di lavoratori precari. I precari vivono la loro relazione con i padroni come una relazione gerarchica fra debitore e creditore. Il centro di gravità della produzione capitalistica si è spostato fuori dalla fabbrica, la società è diventata una fabbrica nella quale tutta la forza-lavoro è subordinata al controllo capitalista. Il capitale sfrutta l'intero spettro delle nostre capacità produttive, la vita stessa è stata messa al lavoro. Il capitalista, quindi, accumula ricchezza principalmente attraverso la rendita enon attraverso il profitto: la rendita finanziaria. Il debito mette in ombra la produttività del lavoratore, ma chiarisce la sua subordinazione. ( segue ).

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