venerdì 1 giugno 2012

Incentivazioni produttive e spirito civile.

Chi ha vissuto il terremoto davvero, ha visto e sentito i muri vibrare e inclinarsi verso di loro, mentre tavoli, scrivanie e persone scivolavano. Poi, le costruzioni più robuste si sono riassestate, come per magia; in realtà perchè le facoltà di resistenza degli immobili ben costruiti sono maggiori di quanto si possa immaginare. Le verifiche di stabilità dureranno settimane, durante le quali le fabbriche dovrebbero rimanere chiuse. Per tanto tempo non sarà possibile, anche se colpevoli e volgari sono state le sollecitazioni, venate di minacce, perché fossero riprense le attività, nonostante il pericolo. Le imprese che hanno sacrificato, in forma definitiva e in quella potenziale la propria forza lavoro sono quelle che hanno mercato e commesse. In quelle in crisi, la cassa integrazione ha limitato i danni. I capannoni costruiti con pezzi prefabbricati sovrapposti, sono state edificati a norma. Nessuna è abusiva o fuori regola. La responsabilità è da ricercare nelle improvvide normative che, leggermente, hanno consentito la costruzione labile, rivelatasi letale. Va però sottolineato che un capannone industriale antisismico è stimato, su base standard per dimensioni, del costo di 70.000 euro per parete: quindi per quattro. Vanno poi fondate e ricoperte con adeguati materiali, di cui non conosco il costo. Un piccolo imprenditore che esporta quel che produce in uno dei tanti impianti regionali, lucrando il suo utile dalla commercializzazione costante e rapida di ogni manufatto, non può permetterselo. Probabilmente, in sede di concessione, si è assunto un atteggiamento passatista alla "speriamo bene", mentre ora, chi ha avuto la struttura distrutta o danneggiata e tutti gli altri che saranno sottoposti a verifiche ed obbligati a sospendere la produzione in locali inidonei, dovranno semplicemente rinunciarvi o delocalizzare le attività. C'è chi lo fa per opportunismo, chi lo farà per necessità, chi dovrà rinunciare e basta. Con tutta la disoccupazione del caso, che riguarderà, in gran parte, lavoratori immigrati. Costoro dovranno spostarsi ancora e cercare impiego in base alle abilità eventualmente acquisite. Qualcuno sostiene che il mercato è troppo tuelato e poco mobile. Il tessuto produttivo delle zone terremotate non è uniforme per sensibilità, mentre è omogeneo per dimensione delle unità attive. Ma non tutti gli imprenditori hanno ricattato, con spirito avido, meschino e provinciale, i propri dipendenti, telefonandogli a domicilio o facendogli telefonare dai dirigenti e commis, che ripetevano lo slogan dissenterico: noi siamo qui! Molti, senza coordinamento, quindi a macchia di leopardo, hanno comunicato ai consigli di fabbrica che si sono riuniti nei cortili che, in assenza di una verifica di stabilità, dovevevano considerarsi liberi ( non che dovevano mettersi in ferie ). Quasi ovunque, le impiegate ( sono quasi il 100% della forza lavoro intellettuale ) se ne sono andate a casa. Gli operai, impegnati, per turni, alle macchine di produzione che non si interrompono mai, spesso sono andati, spontaneamente, al lavoro. E' quanto emerge da testimonianze univoche di tanti imprenditori della zona interessata dal sisma. Resta gravissimo il destino di coloro che, con la casa, hanno perso tutto quello che possedevano e su cui si basava la loro esistenza. Senza l'impegno fattivo di tutta la comunità coinvolta, senza un progetto da affidare agli artefici competenti e, casomai, coordinato dalle autorità amministrative locali, le donazioni, pur generose, i soldi si riveleranno inutili ed occasione di speculazione e appropriazione di chiunque sarà in condizione di metterci sopra le mani, come l'esperienza consolidata insegna. Qui si vedrà, al di là delle parole di circostanza, la qualità dell'amministrazione e la tempra, semplice e costruttiva delle comunità locali. Dello Stato, infatti, ci si può fidare solo per le celebrazioni.

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