mercoledì 13 febbraio 2013

Sorprese apparenti.

Penso che, col tempo, l'esperienza magistrale di Benedetto XVI, influenzata, anzi condizionata dalla sua formazione, spiccherà nel panorama, pur appesantito dall'ufficialità, della spiritualità cristiana e cattolica. Chissà se erano consapevoli i Cardinali delle incognite culturali e comportamentali diun così fine teologo, ma anche filosofo di solidissima formazione che, pur nel rispetto e nella difesa della consolidata - ma solo dal 1500 - tradizione cattolica, in molte occasioni si era dimostrato autonomo nel giudizio e che amava intrattenersi nelle discussioni ideologiche, sia negli ambienti universitari, sia con i prelati più affini, uno dei quali era l'attuale Vescovo di Bologna, con il quale si intratteneva in lunghe discussioni all'aperto, cioè sul terrazzo dell'Arcivescovado di Ferrara, prima del suo trasferimento a Bologna e della sua nomina a Cardinale. E' un paradosso apparente, quello per cui a una rigorosa prassi di pensiero e di comportamento, spesso corrisponde una gamma imprevedibile di gesti irrituali. La stragrande maggioranza dei Papi e soprattutto quelli degli ultimi decenni, sono stati dei tomisti, intenti, cioè, a esprimere il carattere astorico della Chiesa cattolica, nelle encicliche, ma soprattutto nei loro gesti quotidiani e nelle scelte di vita. Sta di fatto che Ratzinger ha invece privilegiato il pensiero agostiniano, al quale si è spesso pubblicamente rifatto in oltre cinquant'anni di vita episcopale. Ebbene, in Agostino c'è la passione, la sofferenza e il dubbio in cui ciascuno si può identificare. Per quanto ardita e non dimostrabile, questa interpretazione sottende che forse "in interiore homine", la fede - che, in quanto tale, esula dai tentativi di dimostrazione razionale - non è la trasmissione di concetti immutabili che eprimono verità perenni, ma un "mistero" che viene comunicato attraverso le vicende storiche, che contemplano forza e debolezza, dinamismo e inerzia. Sono, codeste, le categorie della vita stessa, pubblica e privata e non c'è bisogno di aver fede per apprezzarle, ma, anche nella fede, acquistano una loro "insostenibile leggerezza", immanente e condizionante, anzi cogente, soprattutto se alimentata dall'amore. Dunque, il grande teologo ha introdotto la debolezza - ben diversamente e originalmente rispetto al suo predecessore - e ne ha fatto una categoria dell'immaginario ( sociale ) cattolico. Sarà interessante vedere quanto profonda sia l'impronta e l'uso che se ne farà. Si tratta di un registro narrativo che è sempre esistito nella coscienza cristiana, ma che è stato confinato nel subconscio collettivo cattolico e non, per salvaguardare l'ordine, l'obbedienza e la "perfezione". Per l'osmosi ideologica e culturale, questi principi sono penetrati, intatti o modificati, nell'etica cristiana e cattolica e, tramite essa o bypassandola, in molte e non evidenti espressioni dell'animo umano e delle sue convinzioni. Ora Ratzinger ha dato alla debolezza - come categoria - legittimità ed autorevolezza, seminando sconcerto, principalmente in quei settori conservatori, ecclesiastici e non, che ne avevano salutato l'elezione con spirito di rivalsa. Ecco come un grande restauratore si rivela, alla fine, ( suo malgrado? ) un potenziale innovatore di lungo termine e, sia pur in un ambito dottrinario ben delimitato, rovesci, nell'esito, le premesse.

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