martedì 9 novembre 2010

Milone

Il processo di incafonimento prosegue, anzi tende ad accelerare.
Forse, in un prossimo futuro, ci daranno ad intendere che il mondo è, di noi gladiatori.
il Corso, piovigginoso ed umido, pullula di povere anime che per guadagnarsi un panino ammiccano ai viandanti indifferenti, alla ricerca di un buon samaritano che abbia tempo e voglia di ascoltarli. Poco più in là, altre poverette - troppe per non essere pagate con una mancia - si informano sulle abitudini di lettura dei perdigiorno che, a quest'ora, gironzolano in cerca di un'occasione di borseggio o in attesa del momento di pranzare. Un ragazzo mi porge un ombrellino, di produzione cinese domestica, usa-rompi-getta; ragazze in abiti di pelle nera, con le labbra rimarcate e ciglia finte lunghe un kilometro, si guardano intorno con aria avida e dispregiativa. Anche qualche travestito passeggia "sulle sue".
Pochi passi e sono alla CAMST. Bé, caro Milone, anche in quest'ambito si nota che troppo e in peggio è cambiato. Mi dirai: "è solo una questione di forma". Ne convengo. Però ricordo che, pochi anni or sono, l'atteggiamento era più "impegnato", l'orgoglio del ruolo - anche quello del vettovagliamento, a beneficio della causa - era vissuto con rivendicata professionalità. Prima del Centro Ristoro, fa bella mostra di sé una Nutelleria cooperativa, gustosa premessa all'obesità secondo i canoni estetici popolari del colonialismo culturale d'importazione. Attigua, la sala mal illuminata del pasto veloce, con un tanfo - non esagero - di condimenti, cotture e conseguenti vapori che rivelano la scadente qualità del cibo, che non deve soddisfare i corrotti palati, ma solo la vista, come da indotto pubblicitario.
Gli inservienti si intossicano ad un tavolo comune, prima di digerire servendo al banco o ai tavoli. Tavarish! era il modo di chiamare il cameriere nell'Unione sovietica: compagno. Questo bastava a conferirgli un senso di dignità nell'uguaglianza, anche se non leniva né scaldava le pene del cuore di ciascuno. Ora, solo un cartellino sul petto con il nome proprio, una specie di epigrafe generica alla sopravvivenza.
Entrano alcune clienti d'antan, non meno restaurate delle peripatetiche sulla via, anzi, come loro un po' incerte e un po' risentite riguardo al loro "ubi consistam".
Adesso che anche la palestra dei gladiatori di Pompei, che aveva resistito all'eruzione del Vesuvio, è crollata, non ci resta che la tua, Milone.
Credem'a me.

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