lunedì 4 agosto 2014

Uniformi(tà).

Una società italo-rumena gestiva alle porte di Bologna un Centro benessere, nel quale con un sovrapprezzo, si potevano ottenere delle prestazioni sessuali. Il titolare effettivo, un uomo di quarantanove anni, sposato e con figli, testava le aspiranti massaggiatrici personalmente e solo dopo averne appurato l'abilità, le assumeva a premio-budget, del quale tratteneva almeno il cinquanta per cento. Non aveva riguardo neppure alle norme minime di legge, per cui ha ingaggiato pure due minorenni, dopo averne apprezzato la valentia. Per copertura teneva in negozio anche tre estetiste diplomate che erano al corrente di quanto avveniva negli altri camerini. C'era un sistema di rilevazione della soddisfazione dei clienti su di una pagina web, piena di commenti e di apprezzamenti sul trattamento ricevuto. La pubblicità gratuita era sollecitata dalla Casa. Lo sfruttamento era perfezionato dal regolamento lavorativo, dai modi ovattati e riservati che venivano pretesi, dalle sanzioni per ogni mancanza al protocollo e dalla dura repressione che il padrone riservava alle ragazze, dalle quali pretendeva dedizione e puntualità. L'impresa accumulatoria è proprio univoca ed uniformi sono i suoi metodi.

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