domenica 31 agosto 2014

Ciclotimie.

Rientrato a Bologna e subito reimmerso nella bagnarola umida della pianura infossata, mi sono chiesto che cosa mi abbia indotto a recuperare gli approdi più balzani e meno salubri fra quelli vissuti, come se fossero gli unici, normali e confortevoli. I miei. Non è mai stato così, per me. Oltre all'aspetto climatico, digradabile lungo i sentieri dell'itineranza, ha giocato l'ignoranza e l'estraneità alla vita quotidiana e reale dei visi colti, delle persone interpellate, degli scenari iconografici, dietro ai quali si conosce, ma non nello specifico, si intuisce e, soprattutto, si presume, senza possibilità di entrare in gioco, se non nella veste gravida di incognite, dello straniero. Ma questo vale anche se ci si sposta solo di pochi chilometri o si continua a calpestare lo stesso, costante itinerario. Un anonimato, un'estraneità, che favoriscono la complicità di relazione, da intendere anche come semplice facoltà di scambio dialogico fuori dagli schemi, stimolatrice solo dell'intelligenza, senza complicazioni di notorietà istituzionalizzanti, in lampi di conferma o forieri di originali riflessioni, senza cercare inesistenti adagi. Il formalismo, nei modi e nei gesti, è un battibecco sterile, recitativo, nel quale ciascuno si cela attraverso le battute, i manierismi, i sorrisi e i gesti appalesati della mentalità del suo ristretto ambiente d'origine. In fondo, nel breve tempo del vacuum, dell'essere altrove, non nella parte, così in voga, del pacco postale, della confezione familiare, si fa un giro su se stessi, in una cornice diversa. Forse perché si attenua la capacità di meraviglia. E, invece, no; so per esperienza che non è così e che gli elementi introiettati verranno a rinforzare e implementare l'espressione della vita residua, nel lento rimuginare degli eventi vissuti.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti