martedì 29 novembre 2011

Milone

Ho appreso da uno di quei televisori al plasma che stanno sostituendo i quadri alle pareti, che, questa notte, Lucio Magri ha deciso di porre fine ai suoi giorni.
Lo ha fatto in Svizzera, attraverso il suicidio assistito, un vero e proprio servizio sociale, a basso costo, non solo per i malati terminali, ma anche per chi soffre del tedium viate et senectutis o, genericamente, di depressione, come pare che fosse il caso del grande esteta della sinistra.
Aveva cambiato partito sei volte; di uno, il Partito di unità proletaria, era stato anche cofondatore. Scriveva sul Manifesto e numerose altre pubblicazioni alternative, vestiva con raffinata eleganza e il taglio dei suoi capelli era sempre accurato. Aveva avuto numerose relazioni sentimentali con donne belle e interessanti.
Poi, il suo narcisismo non aveva più trovato sfogo e, da materialista quale era, non aveva trovato più ragioni per continuare a vivere.
In fondo, è morto secondo un'etica aristocratica classica, precristiana.
E' stato un buon critico dell'esistente, oltre il quale non credeva, né aspirava ad andare.

Entra la coordinatrice di una catena di pelletteria di Napoli.
E' stata per qualche mese in giro per l'Italia a verificare l'efficienza delle venditrici o commesse, come lei. E' impegnata in una concitata conversazione telefonica e non si accorge dei ripetuti richiami dello sportellista, fino a che, sollecitata da un altro cliente in attesa, si avvicina al banco continuando quello che si rivela un monologo: "ma stiamo impazzendo? Come pensate che possa aiutarvi da Bologna? Chi ha ordinato sessanta valigie? Comunque, vanno esposte entro oggi! Non ho parole, siamo qui per lavorare! Non voglio sentire né A, nè B, né C!"
Che originalità di pensiero e di espressioni, in rapporto ad una drogata sicurezza, in un deserto.
Val la pena di suicidarsi per questo? No, di certo.
Chissà se si chiederà mai se valga la pena, per lei, di vivere?
Costa così poco.

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