venerdì 30 dicembre 2011

Milone

Mi parlano tutti male delle banche, caro Milone. Temo che il ritornello diventerà una stentata sinfonia.
Parlar male delle banche è come sparare sulla Croce rossa. Fatto sta che, in previsione di un impoverimento delle fasce medie e basse della popolazione o, come si dice, di un rallentamento del trend, le banche riacquistano quel ruolo strategico che hanno avuto agli albori del meccanismo economico e che ho visto, dopo averne sentito parlare per l'Italia post bellica, nei paesi in via di sviluppo.
E' un fatto che beneficeranno di un correttivo ai loro marchiani errori degli ultimi decenni, commessi per influenza e incompetenza politica e non solo per il vento della finanza mondiale. Poi c'è stato, nelle more, un privato intento speculativo che ha riguardato persone e cricche, dato che momento e circostanze erano propizi. Così, gente senza qualità professionali ha lucrato due volte: prima una carriera burocratica ricca ed ossequiata, poi guadagni ingenti e buone uscite stratosferiche.
Il tutto ha avuto una sua logica, perversa ed ammirata.
Non c'è volantino, distribuito a cura delle categorie professionali che si sentono minacciate, che non rechi, come un refrain, almeno un inciso sui favori riservati alle banche.
Casomai a prescindere dal contesto descritto, la polemica prende perché generalisticamente fondata.
Chi sta in mezzo e disciplina il traffico, può avvantaggiarsi di molte situazioni.
Ma noi, non siamo una banca, bensì un club privé.
Vai a farlo capire al volgo, però.

I nostri frequentatori sono talmente assidui, da farmi pensare che pratichino il nostro sportello, come il medico, il confessore e, i meno vecchi, la moglie.
Sono sempre chez nous, secondo una biologia semplificata.
Fra chi pratica e osserva e chi crede ma non si sacrifica, edificazioni e mancanze ( di liquido ), la casistica delle grazie e dei peccati è costante.
Tendo alla a-gnosis, ma gli aspiranti agli Ordini superiori sono sempre nei pressi, ad estrarre le certificazioni delle ben note irregolarità. Più che delle medesime, sono timorosi delle censure, coerenti e totalitarie, degli Ordini episcopali interni.
La ripetitività elementare e comoda degli adempimenti degravanti, una sorta di purga dell'anima, tradiscono l'anemicità della fede e la rassicurazione conservatrice.

In fondo, sono gli attori di una pièce che prevede il dipanarsi di una trama costante, con protagonisti noti, che entrano in scena e ne escono con la regolarità prevista dal copione, per esiti compulsivi.

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