martedì 9 agosto 2016

Il paradosso di un dittatore popolare che cavalca la democrazia relativa per sopravvivere.

La Russia sempre ortodossa, anche quando era comunista, in particolare durante il periodo del seminarista Stalin e la Turchia sunnita di un Erdogan spaventato a morte dal golpe fallito e dall'evidente connivenza degli Stati Uniti e dell'europa occidentale, hanno subitamente stretto un accordo opportunistico. Siamo tornati alle alleanze ottocentesche, solamente più brevi, occasionali, estemporanee e già minate all'origine dalla tabe di micro-conflitti in atto al loro interno. Lo scopo è identificativo e oppositivo, ma un'unione a due nel mondo fedifrago della diplomazia non può durare a lungo. Può però spostare ingenti investimenti ed interessi da un versante ad un altro, mettendo in diffcoltà le pseudo-imprese private dell'energia e le loro nazioni-madri. Ciò nonostante, soprattutto Erdogan, ha potuto liberare "ciò che in cor gli preme": l'europa non è l'ombelico del mondo ( verissimo ), sono cinquantatre ( li ha contati ) anni che ci prende in giro ( verissimo ) e continua a farlo. La piccola europa non è in realtà in grado di prendere in giro la forte ( militarmente ) e orgogliosa Turchia; se lo fa, agisce come quegli infantili imitatori che si fanno beffe di chi invidiano, perché strumentalizzato dal comune burattinaio: gli Stati Uniti. Dagli Stati Uniti, che già promossero altri colpi di Stato in Turchia, sempre allo scopo di tenerla al guinzaglio, nessun regime si è mai distaccato e lo stesso Erdogan, che ha accusato la CIA ed un nominato generale americano di essere stati i registi del golpe ( sventato anche per talune soffiate dei servizi russi ), ha abbozzato ed ammesso che "seppur feriti" resteranno nella NATO e al soldo degli americani. Non meraviglia che, a queste condizioni, il Sultano non ripieghi che sul mediocre arricchimento personale e della sua discendenza. Vorrebbe solo che, di tanto in tanto, non si adducesse a pretesto per defenestrarlo. Una situazione simile, ma gestita con molta più meschina blandizie, a quella storica dell'Italia. Alla memoria di quel pilota russo che sonfinava di qualche metro in territorio turco, quando lo Zar e il Sultano - soprattutto il Sultano, perché lo Zar le sue "conquiste" le aveva già portate a termine - si confondevano ancora fra amici e nemici. Putin, nelle fotografie dell'incontro è un autarca; si è costituito da poco una nuova famiglia e ha due figli poco più che neonati e si propone di servirsi di Erdogan per puntellare certe sue aree di influenza ( soprattutto in Siria ) per riconquistare il ruolo di grande potenza che non si cura dei flussi finanziari, ma del gas potenzialmente utile a scaldare ed energizzare tutto il resto d'europa e che degli Stati Uniti può fare a meno; Erdogan appare invece compresso,scosso, agitato. La repressione indiscriminata che sta esercitando in patria, il sostegno popolare, ma della parte più rozza della popolazione, l'apparente fedeltà degli alti gradi militari, che potrebbero giustiziare i ribelli incauti e poi, ritrovata la loro unità d'intenti e d'interessi - come è avvenuto in Egitto - buttarlo a mare, potrebbero non bastare. Se anche un'inchiesta della magistratura italiana su suo figlio studente e riciclatore lo impaurisce, vuol dire che il potere è diventato per lui l'unico puntello fragile, per salvaguardare una posizione comunque compromessa, che lo mette nella condizione di farsi prendere in giro da Putin, lo 007, cercando di equilibrarsi con la NATO, verso gli Stati Uniti. Ma un altro scenario logistico-energetico-petrolifero potrebbe fargli fare la fine di un Gheddafi qualunque.

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