lunedì 4 aprile 2011

Milone

Una giornata al Credem'a me.

All'ouvertoure, mentre i saturnini avventori - di cui solo un 30% è costituito da persone che, poi, devono recarsi al lavoro - si affastellano dietro la guida, la frenesia delle formiche operaie è già al culmine, come se non avesse trovato ristoro durante la notte e come se il temporis vacuum non fosse stato dedicato alla meditazione ed al relax. Il Padre guardiano non evita di guardare ostentatamente l'orologio, né di rimarcare criticamente il passo normale con il quale solitamente mi muovo. Senza alcuna decantazione adattativa, si cominciano a servire gli astanti, coinvolti, a prescindere, dal moto galattico, fino alla temporanea espulsione nell'aere vasto dal quale provenivano quando li abbiamo catturati e, forse per questo, così insofferenti. Per novanta minuti circa, saremmo liberi cittadini, sia pur al nostro desco, se l'RDE stalker o il suo stuntmen-sostituto non si affacendassero a riversarci sul banco ogni sorta di scartoffie, in originale, copia o formato fax e, per accertarsi che i tempi di lavorazione siano rispettati, a chidercene conto ogni venti-trenta secondi, sia girando fra i loculi operativi, sia, per normale stanchezza, alla voce..da distante.
Ogni volta che ci si muove, per sgranchirsi le gambe o per normale esigenza di socializzazione e/o presa d'aria, il tuo compagno di sventura si lagna perché "ti muovi", così da "non poter aprire la porta" o perché, in questa guisa, non si possono intercettare tutti i clienti - o quasi - e consentire conseguentemente lo svolgimento di non meglio identificati compiti di retro-sportello.
Comunque, tutti cantano in coro.
Avevo l'abitudine, nella vecchia banca, di fermarmi talvolta, durante l'intervallo, a leggere il giornale, ma qui non è possibile. C'è sempre qualcuno che lavora a voce alta e con non omette di coinvolgerti ogni due per tre; dopo un quarto d'ora cominciano i rientri scaglionati e ciascuno pretenderebbe, se fossi presente, di vedersi aprire la porta. Per cui, il giornale lo leggo sotto i portici, delegando agli altri di evitarmi e sull'autobus, quando trovo posto a sedere. La sera, quando, dopo ritmi da cottimo, saluto e mi congedo, i miei proattivi colleghi fanno la loro donazione quotidiana, offrendo il loro lavoro in sacrificio, gratis et amore dei, a volte, a causa di una riunione convocata fuori orario dall'Area manager o dal Direttore, che non fanno altro che ripetere pedissequamente quanto appreso in un "C" superiore o in equivalente occasione di apprendimento, tramite comunicazione ad una via.
Se, in tutto quanto precede, semplicemente descritto, c'è un solo elemento positivo, "mi mangio un bricco". Temo anche che questo inane e stagnante conformismo sia rivelatore di una attitudine acritica a qualunque compromesso adattativo. Un'impostazione morale poco rassicurante.

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