mercoledì 16 dicembre 2009

Merito, meritevolezza e meritocrazia.

Edita nel 2008, l'opera di Roger Abravanel porta un titolo semplice (MERITOCRAZIA) nelle intenzioni, quanto pomposo nella grafica e soprattutto nella lettura che ne possono dare gli Italiani.
Temo che non sarà molto letta, se non per i contenuti politico-ideologici (l'editoria è un'industria e ogni epoca o periodo ha i suoi Manifesti) e tecnici, dagli addetti ai lavori. Il titolo stesso, pur gravido di prospettive per chi non goda di famiglie influenti alle spalle, verrà - ritengo - recepito come l'ennesima illusione che il potere ha interesse a propagandare e che gli studiosi si incaricano di mettere in bella copia e di autenticare sul piano culturale.
In assenza di un vero mercato, nel quale ci si possa fagocitare senza commuoversi, per limitarne i costi ed offrire un prodotto a prezzi costantemente limati, accessibile potenzialmente a tutti, la meritocrazia è uno specchietto per le allodole.
La semantica stessa della parola: il potere del merito e dei meritevoli, fuor dal contesto anglo-statunitense, è fuorviante ed ambigua. Una cultura del "riconoscimento" - nella nostra tradizione cattolica e pietistica - apre il cuore ad "altre" speranze, rispetto agli obiettivi predatori che Edward Lutwak, già negli anni '90, definiva essere propri del turbo-capitalismo. In più, da noi, troppi familismi e provincialismi alimentano una mentalità conservativa - anche a livello imprenditoriale - pur nella crescente bramosia per i bisogni indotti dalla pubblicità. Ancora, l'Italia non è uniforme per tradizione e cultura. anche se, dal Sud, tanto bello per andarci in vacanza, si è imposto, insieme alla pasta di grano duro sui lessi, le passate liquide e la mostarda, pure il clientelismo, almeno nella sua forma più estrema, se non esclusiva.
L'Italia è, statistiche alla mano, il paese con minore mobilità sociale. L'aspirazione a modificare in meglio le condizioni di origine, attraverso gli studi e l'impegno, si trasforma in lotta serrata per mantenere le posizioni di partenza.. Per cui, per ora, la meritocrazia resta un'aspirazione che, di generazione in generazione, si ripropone, attraverso i portati d'oltre oceano e d'oltre manica, culturalmente colonizzatori.
I figli dei ricchi non rinunceranno mai ai loro privilegi, né lo consentirebbero gli augusti genitori - versione aggiornata e spesso un po' cafona dei nobili di un tempo -, mentre gli arrampicatori della piramide sociale ( fra l'altro, la piramide, sia detto per inciso, è uno dei simboli massonici ) spesso, sgomitando, deviano dal retto operare, mascherandosi dietro atteggiamenti opportunistici e manipolatori o enfatizzando i mediocri poteri acquisiti, in contraddizione con l'etica puritana che si accompagna al capitalismo, nelle ristrette aree del mondo in cui è nato e viene esercitato coerentemente. La precedente egemonia militare è stata sostituita ( non completamente ) con la koiné linguistica ( di scambio, come il greco antico della Ionia, piccola terra antica di democrazia ) e con l'influenza mediatica.
Sappiano gli entusiasti che, in quegli ambiti, la costanza è sostituita dalla frenesia, che i cambi di casacca ( lavoro ) sono continui e che la tenuta delle famiglie è, conseguentemente, labile.
Inoltre, la percentuale di quelli che mollano, anche solo per un attimo e che vengono esclusi, è molto alto; il livello dell'istruzione si riduce a utili, ma micro-specializzazioni, e che l'influenza formativa, anche nei campus universitari, è ridotta allo sport.
Comunque, è bene - lo penso sinceramente - che chi non ha altre risorse nella vita che le sue capacità, pur se ormai inflazionate per l'imitazione sociale, se ne valga con entusiasmo.
Ai giovani consiglio, però, di farlo con spirito critico.
Come si dice, da prima dell'economia di mercato: "cum grano salis".

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