lunedì 15 marzo 2010

Comandare è fottere. Note di controcultura aziendale.

Ricevo "Comandare è fottere", per gentile sollecitudine della nostra bibliotecaria e già, in libreria, il nostro autore, prodigo di consigli, è ricomparso con un "Coraggio don Abbondio" - probabilmente per stigmatizzare i pavidi ed i rinunciatari - che non allontana il sospetto che lui si identifichi con don Rodrigo.
Il modesto commentatore, per parte sua, non si è mai riferito al neghittoso curato; casomai, a fra' Cristoforo. Anche a lui, in questi tempi revanscisti e trasformisti è rimasto soltanto il bagliore occasionale degli occhi a richiamare l'antica energia.
L'illustre ed impenitente manager, oggi votato al tempio dell'arrogante futura classe dirigente romana, si diletta di letteratura, anche se temo che non passerà alla storia per i contenuti che propone.
Quindi, comandare è fottere.
Così si demistifica il vecchio adagio per il quale comandare è meglio che fottere, del quale ormai devono essere convinte solo le donne in carriera e neppure, gelosamente, del tutto.
Il libro è dedicato al figlio che pensa diversamente. Non richiede grande impegno, alla luce di due realtà: la famiglia è la prima istituzione che si contesta ed è fisiologico che un padre di successo, sia in uggia a un figlio maschio, pur godendone contemporaneamente la tutela e, quando sarà il momento, il privilegio.
E' tempo, comunque, di abbandonare la premessa e andare a constatare che cosa mi sono perso.
L'introduzione promette bene. Si propone di bypassare l'ideologia e la deontologia dell'esercizio manageriale e di immergersi nella rappresentazione della giungla istituzionalizzata della prassi d'impresa. Nessun accenno di analisi - non dico di critica - riguardo alla qualità morale ed umana di una vita profesionale ispirata a questi pseudo-principi, anzi, alla noncuranza verso qualsiasi principio, che non sia strumentale e veicolatore del succeso.
Un solo accenno, quasi un'aspirazione frustrata, ad incontrare sul e durante il suo cammino delle persone consapevoli e non la pletora di invidiosi e delusi, bensì consapevolmente rifiutantisi (autocastrazione?) al modello imposto. Sì, imposto, perché in realtà il non competere comporta emarginazione e dispregio: le condizioni necessarie per essere fottuti.
Se è vero che il moralismo di tanti sconfitti ne maschera il rancore è altrettanto vero che la perversione valoriale ed esistenziale è costretta in uno schema strumentalizzatore di uomini e cose.
Bastardi di successo, quindi?
Si direbbe di sì: Signori, infatti si nasce, non si diventa. Per questo è improprio il paragone di Macchiavelli con Pier Luigi Celli, piccolo epigono e precettore di giovani spesso viziati e che dei suoi consigli non sanno che farsene, in quanto, per lo meno, pleonastici. L'esercizio e la cultura del potere si apprendono in famiglia e nell'ambiente sociale che si frequenta, in attesa di iscriversi al Rotary.
Il successo è uno status e deve essere cooptato, anche se le caratteristiche dei rampolli non sono all'altezza.
L'amore per l figlio mal riuscito, invece, è la sentimentale "inutile" caratteristica di tante famiglie di condizione modesta.
Afflitti dalla propaganda imperante, almeno dagli anni '80, abbiamo stolidamente accantonato ogni buon senso e abbiamo interiorizzato un sistema di disvalori e qualche bastardo con il pelo sullo stomaco, per vie più traverse che diritte, è riuscito ad emergere anche dalle classi subordinate. Questi pitocchi sono quelli che affliggono e si affliggono con le lotte interiori descritte nel testo, che vogliono godere il più a lungo che sia possibile e che traggono piacere dalla prevaricazione sugli altri. Anzi, questo sadismo di rivalsa ne rinfocola i perversi propositi e ne alimenta la teatrale autorappresentazione.
Per chi nasce da magnanimi lombi, invece, il risultato è un dato a priori, è inscritto nel Fato.
Recita il Vangelo secondo Pier Luigi: " scegli il tuo mentore, identifica il tuo nemico e su quello batti senza risparmiarlo".
Chi studia l'ecosistema controvento per non far sentire il suo fetore, non si limita a svolgere bene il suo compito, come fa l'ingenuo che spera che, per questa via, vengano riconosciuti i suoi meriti. Si industria, invece, a fare il gioco del suo protettore, ne filtra i rischi, ne copre le insuffcienze e le magagne, ne favorisce i vizi. Spera così di indebolirlo e, per sostituirlo a tempo e luogo, se ne fa complice subordinato e untuoso.
Questa specie di invetebrati si riconosce per il conforme atteggiamento che pretende dai suoi subordinati, non appena riesce ad occupare qualche strapuntino di potere; dalla "proprietà" che si arroga sullo strapuntino in concessione e dal sospetto e dalla coda di paglia che tradisce verso i collaboratori.
I pérvenus nel mondo del privilegio sono accompagnati, all'inizio, dagli storcimenti di naso e dal levar di sopracciglio di chi quel mondo occupa per diritto ereditario. Sarà il loro purgatorio fino a che l'odore diventerà omogeneo e stantio e l'origine plebea sarà rimossa.

La scuola giusta.

Deve essere tecnocratica e repulsiva di qualsiasi residua tendenza adolescenziale all'introspezione ed alla dispersione rispetto all'obiettivo fobico-ossessivo da dare alla propria vita. Che questo imprinting si fissi, intorno ai tre anni, nelle personalità anali, come Freud ci ha insegnato, e costituisca la base della patologica personalità sadica ed autoritaria, non importa, data la monoteisticità della fede rivelataci da Celli, o meglio, da lui commentata e di cui tanti, con alterno successo, sono stati adepti, generazione dopo generazione.
Si sdrucciola pericolosamente - ci ammonisce - nell'ideologico indistinto, se si spera di soddisfare i cerimonieri del Logos attraverso l'acquisizione di competenze economiche. Non contano i canoni dell'economia, interpretabili e potenzialmente tendenziosi, , bensì la certificazione di conformità delle dinamiche organizzative e gestionali del tempio-azienda.
Prima che la cultura di massa si affermasse come il modello da assumere, a costo dei più feroci sacrifici degli ambiziosi, per proiezione, genitori, il pensiero unico, necessariamente debole, veniva definito "animo da cortigiano" o "sensibilità da servo". Propaganda per iloti che "vivunt quasi ingenui, moriuntur ut servi". Non si sfugge al proprio destino e quando non si ha la dignità di viverlo, la contrazione periodica alla bocca dello stomaco e l'amaro palatale sono lì a ricordarcelo.

La politica come eterno presente.

La speranza è degli inetti. Il vincente struttura la sua vita per acquisire il successo nel minor tempo possibile e, una volta conseguitolo, per durare e, per farlo, fa politica. Mescola, cioè, gli ingredienti fissi delle sue ricette carrieristiche, in un caleidoscopio di colori cangianti, in un'apoteosi di sapori e di odori, capaci di stordire ma, maneggiando i quali, dovrà conservare la lucidità necessaria a cogliere le sue occasioni e a condurle a buon esito.Dovrà essere consapevole che, ad onta della pur richiesta competenza di base, sarà sempre, al dunque, la scelta e la decisione "politica" a prevalere ed a lasciare delusi e rancorosi, con un palmo di naso, i giusti, i virtuosi e i competenti senza altre "qualità". La vita come trasformismo è la chimica del successo.

Il regime vigente nell'impresa.

E' la dittatura, nella quale va esercitato arbitrariamente il potere. L'anarchia di chi lo detiene deve costantemente contrastare ed inibire il dialogo autonomo fra i sottoposti ed indurre in loro il "servo encomio". Il "codardo oltraggio" si coalizzerà nell'emarginazione di chi rifiuta di abdicare.
La garanzia che la prepotenza discrezionale non troverà ostacoli interiori, risiede nell'amoralità che è stata la base del suo conseguimento. Si compie per questa via una selezione pseudo-etica e culturale.
L'uomo o la donna di potere, che pur restano sempre sul chi vive, hanno bisogno di uno spazio di agibilità, di una corte e di una coorte, nel cui ambito vivere ed agire, certi di non incontrare ostacoli, almeno finché le condizioni del loro rimanere in sella, non vengono alterate da eventi endogeni (improbabili) od esogeni. Ecco, quindi, l'utilità pratica di quella sentina di cortigiani, usi alla piaggeria e pronti ad assecondare tutti i desiderata del Capo, senza discriminare, guarda pretoriana del suo Sancta sanctorum.
La conoscenza delle tecnicalità professionali non è strettamente necessaria; potrebbe, anzi, mettere in ombra il Capo stesso, anche involontariamente, o creare contese nel gruppo dei famigli, anche se il numero preponderante metterebbe presto in mora il malcapitato che, con la sua stessa esistenza rivelerebbe una falla nel filtro aziendale.
Conta veramente solo l'adattamento antropologico alla spesso deprimente filosofia d'apparato, al costume "meritocratico". Una volta ottenuto e fissato un riflesso conformistico stabile ed aver fatto la faccia compiaciuta agli imbelli (per poi ridergli dietro, appena voltato l'angolo) si possono rimeritare in denaro, senza ingessarsi in norme e prassi, ruoli e mansioni, i più pronti fra i replicanti che sono stati creati. L'utile è l'obiettivo e l'utilitarismo, quando non l'opportunismo, i veicoli per perseguirlo.
Celli accenna all'anaffettività ed alla solitudine del potere, ma non riesce a commuovermi: nessuno lo ha costretto.
Infatti, subito dopo, si dilunga sulla necessità di assegnare cariche, compiti ed incarichi a persone ligie e non particolarmente brillanti, da scegliere fra coloro a cui sono stati riservati durante il cursus honorum, i percorsi aziendali in grado di familiarizzarli con il "core business", mentre, "in partibus infidelium" allignano solo attività routinarie, faticose e non formative, che espongono all'obsolescenza.
Diceva un buontempone: "c'è qualcuno che, già in pensione, spera ancora di diventare funzionario (quadro, attualizzando). Era, è l'epitome di una inconsapevole filosofia esistenzialista per ragionieri e tecnici in genere; un solo scopo per la propria vita, l'immagine sociale e...guai a chi se ne frega.
L'impresa come Madrasa (scuola coranica) per l'apprendimento e la messa in opera del fondamentalismo carrierista, a maggior gloria del padrone e degli altri eventuali azionisti. L'impresa ha infatti l'esclusivo scopo di creare valore economico per chi ne detiene le quote di proprietà. Sono da scacciare come le tarme tutti coloro che, una volta conseguito un posto di lavoro, amerebbero adagiarsi nella mediocrità dello stipendio sicuro, in un abbandono prepensionistico.
Per questo sono stati cancellati, di fatto, i contratti nazionali di categoria, sostituiti da una moltiplicazione di contratti atipici. Queste osservazioni valgono soprattutto per le aziende grandi e complesse, nelle quali le funzioni di gestione societaria sono demandate effettivamente ai manager che si rimeritano con premi e liquidazioni che li mettono in grado di mettersi in proprio.
In Italia queste aziende sono pochissime.
Nel mondo creditizio, per opera di un Governo tecnocratico - quello di Romano Prodi - è stata sollecitata e favorita la costituzione di due grandi gruppi, Unicredit e Banca Intesa, precipitati delle ex banche di interesse nazionale, in indigesta miscela con potentati della finanza laica e della Compagnia delle Opere. Non è stato un caso se la punta di diamante delle B.I.N. e del sistema, la mitica Comit, già di Raffaele Mattioli, sia stata sacrificata per il suo orgoglio demodé.
Lo svelto e poco interessante - sul piano analitico - manuale di Celli non mi pare una riedizione del Principe, che tale era per privilegio dinastico. L'autore sembra indirizzarsi soprattutto ai suoi pigri ed istituzionali studenti della Luiss, quasi tutti di estrazione bancaria e della Banca d'Italia o del mondo delle professioni..clientelari . Se signori si nasce, infatti e se la signorilità contempla l'ozio ed il parassitismo, i suoi studenti, a differenza dei bocconiani, prevalentemente orientati verso il mondo della produzione di beni, ne sono adepti tradizionali, non confrontandosi, né dovendo confrontarsi con il mondo dell'impresa.
Per parte mia, da semplice osservatore, al canovaccio del fattore ( nel senso di amministratore di azienda agricola ) dei padroni - come il fattore di "Novecento" di Bernardo Bertolucci - non ho mai vista applicata alcuna deroga. E' reale nella sua infelicità. Anzi, quanto più la situazione incancreniva proprio in rapporto ad incipienti fusioni che avrebbero dovuto rendere imperscrutabili le prospettive societarie e, in quell'ambito, di carriera, ho dovuto constatare quanto mistificatoria ed ingannevole fosse la propaganda che veniva rivolta alle maestranze. Vecchie, inamovibili cariatidi prepensionavano persone con dieci anni meno di loro e ne ricevevano compensi in denaro. Un vero e proprio premio-budget. Si scopriva il mestiere del "tagliatore di teste", professionalità richiesta per sfoltire l'organico ed acquartierarsi in "zone amiche", a fusione avvenuta.

La carica delle Amazzoni.

Non farei differenze fra maschi e femmine nell'approccio al sadismo opportunistico, se non per evidenziare che, per queste ultime, l'esito è stato recente ( per questo sono inflessibili nel volerlo mantenere anche a costo di automutilarsi ) e se tende ad incrementarsi, coincide con un depauperamento retributivo ed una limitazione di poteri, rispetto al recente passato. Esistono e si avvertono le differenze di carattere e di sensibilità frutto delle diverse nature biologiche e psicologiche. Ma, nell'adeguamento al peggio, si realizza un ibrido scadente. Per gli uni e per le altre, valga il vecchio adagio delle arance calabresi (portugalli), che, scardinatosi il carretto su cui viaggiavano sull'acciottolato del paese, precipitarono in una fogna. Il loro peso specifico le portò a galleggiare in compagnia degli stronzi che vi soggiornavano da soli e che, ringalluzziti, si compiacquero: "siamo tutti portugalli". Invece, chi è stronzo, rimane stronzo; può solo eccellere lungo la via della stronzaggine.
Con l'appiattimento, a fini economici, delle carriere, di pari passo con i demansionamenti professionali, si constata, sempre più di frequente, come beceraggine, cattiverie e, per apparente paradosso, l'invidia, si manifestino e si rinfocolino anche verso i sottoposti, se questi non mostrano venerazione e soggezione verso i capetti/e.
Nelle strutture grandi e complesse, questi veleni si assumono e si smaltiscono attraverso una lenta e costante digestione quotidiana, nelle aziende familiar-padronali, la malata impronta domestica diventa cappa morale, tavola dei valori e degli impegni, controllo da secondini, ignoranza delle norme.
Questa è la dimensione predominante del reticolo aziendale italiano. Le piccole e medie aziende sono molto legate al territorio, almeno per quanto riguarda cultura e maestranze e se acquistano dimensioni crescenti costituiscono volano di occupazione per le proprie zone di origine e godono ( almeno nella nostra esperienza emiliano-romagnola ) di buoni servizi, in cambio. Piccole sì, in gran parte, ma dinamiche ed internazionali per quanto riguarda la committenza ed oggi anche per il decentramento produttivo a minor costo. Anche questa è una novità apparente: l'implosione del comunismo ha "liberato" tanto carne per i trivi ed i quadrivi, quanto lavoro, anche qualificato, a prezzi di sussistenza anche per quelle società, dove i capi-impresa del socialismo reale si sono impossessati delle imprese stesse e delle altre risorse e dove i prezzi sono come i nostri, ma non i salari. Prima, gli "imprenditori-speculatori nazionali ( e di quanta corruzione eletta a sistema sia fatto il loro successo vediamo e..non da ora ) decentravano l'attività produttiva in paesi a regime dittatoriale fascista, quali la Spagna ed il Sud America, dove i rapporti di lavoro erano co-gestiti da sindacati corporativi.
Torniamo a noi.
Volevo dire, dunque, che, in periodi di vacche grasse, imperversano i turni straordinari e notturni; in periodi di vacche magre la cassa integrazione, la chiusura di stabilimenti e la disoccupazione.
Capita di constatare che si sperimenta una via mediana ed integrata, guarda caso piuttosto corporativistica, che punta all'ottimizzazione del profitto e della gestione degli uomini e delle donne, omogeneizzati nell'indistinto ossimoro delle "risorse umane". Si selezionano, attraverso i consueti colloqui e poi con contratti atipici, che consistono in lunghissimi periodi di prova all'adattamento, dei giovani, per poi confermarli a tempo indeterminato ( ed è cosa ottima ) ma solo dopo aver constatato in loro l'interiorizzazione di un abito mentale, anzi, di una uniforme comportamentale ( ed è cosa pessima ). Nulla importa al padrone se queste persone, celatamente, si macerano, anche se raramente ne tradiscono i sintomi, in paura e disagio.
Il Direttore generale della Luiss ( ma alle Università non sono deputati i Rettori? ) ci illustra anche il contrasto che si viene a creare fra carriera al femminile, perseguita in azienda e la carriera riproduttiva ( sarebbe meglio chiamarlo impegno, da perseguire con passione e responsabilità ), perseguita nel talamo nuziale. Quasi sempre, managerialità e maternità si elidono: faremmo meglio a fare come in Giappone, dove il matrimonio cassa l'attività lavorativa delle donne. Adusa, attraverso le riviste del parrucchiere, ai riti dell'alta borghesia e di tanti borghesucci che aspirano a farne parte, ecco, in alternativa, che "la Signora" diventa la gestrice del successo mondano del marito e suo. Verissimo e un po' comico. Per esperienza parentale, confermo. Vedersi, frequentarsi, anche nei fine settimana, tenersi d'occhio e agire di concerto, serve a chiudere il cerchio delle opportunità ed a scambiarsele. Opportunità e favori di tutti i tipi. Una pur velata critica, di qualunque natura rivolta al proprio mondo lavorativo e sociale, è causa di chiusura ed esclusione verso l'incauto, o meglio il non affiliato. Commenti e tossine sono demandate ai conciliaboli del talamo, prima di dormire, pre e/o post coitum.

Roba da Prima Repubblica? Non credo proprio.

Realizzato un sistema elettorale, il Mattarellum, concepito per "lasciare tutto come prima", i mezzi di propaganda hanno cercato di convincere la platea nazional-popolare che tutto era cambiato per il meglio. Quanto fosse vero è sotto gli occhi di tutti per l'azione "sovversiva" di quei rivoluzionari che notoriamente sono i giudici.
Invece, una volta acquisita la "giusta" mentalità ( anche per semplice imitazione ) ecco che prende il via la fiera delle vanità e la competizione assume caratteri patologici.
La constatazione di una diffusa uniformità di aspirazioni, di competenze e di incompetenze, sposta l'attenzione verso l'agone opportunistico ed il condizionamento ambientale. In questa arena si fotte e si gode della propria meschina abilità e del fallimento-fottitura altrui. Esperienza da sedimentare, per valersene nei successivi, incessanti conflitti, fino a che il tempo non conduca alla detronizzazione del vecchio leone, divenuto vecchio, che sarà sostituito da un altro ambizioso replicante, chiamato a fare, in un contesto di apparenze mutato, la stessa esperienza. L'azienda, infatti, replica e riproduce i suoi fasti, trasferendoli in nuovi clonati.
Eccoci agli ultimi conati difensivi del carrierista alla meta: il tentativo di influire sul futuro, la speranza inane di farsi rimpiangere e di rientrare come padre nobile in veste di consulente, dopo l'inevitabile lancio della spugna.
Ecco la nostalgia retrospettiva per i sentimenti, spesso irrecuperabili, che si sono tralasciati, per la famiglia che si è trascurata, per i figli cresciuti senza l'apporto del padre: la constatazione, in molti casi, di essere stato solo l'ufficiale pagatore dei vizi della famiglia. Si sapeva anche prima, ma non è passato per la testa di fare scelte diverse e, infine, senza il successo, esteriore ma anche domestico che la ricchezza ha consentito ed il potere, la possibilità di compensare le eventuali manchevolezze dei figli, attraverso la rete di relazioni intessute, si sarebbero ottenute quelle gratificazioni morali, troppo tardi vagheggiate e rimpiante? E' lecito dubitarne.
Il paradosso di una vita votata all'esteriorità - se votata all'esteriorità - nella quale il fottere ha sostituito l'amore, si compendia nella mestizia e privazione di senso, a cose fatte, che colpisce chi ha perso il potere così a lungo detenuto ed a che prezzo "di lacrime e di che sangue" di altri fottuti in "battaglia" e che chiude lo scrigno dei sogni - se questi erano i suoi sogni - di chi non ha potuto competere efficacemente per mancanza di risorse o per scarsa cattiveria e, sempre paradossalmente, vincitori e vinti chiudono amaramente la loro parabola. I primi nostalgicamente, i secondi per privazione.

Epilogo.

Il titolo, si sa, è sempre frutto della tecnica commerciale della Casa editrice e vorrebbe suggerire, nel nostro caso, una giocosa paradossalità e mascherare la malattia nevrotica e compulsiva nel e dell'agone carrieristico, che purtroppo è reale. Si pretende e si ottiene senza sforzo - tanto che la pretesa si appalesa come coreografia del potere - una aggressività strumentale agli interessi di un padrone, di una associazione di padroni, di una consorteria d'interessi o di una entità amministrativa e burocratica.
Il desiderio di fruire della fatica altrui, di isolarsi nel proprio egoismo e, quanto spesso, di sopperire alle proprie sfighe - o presunte tali - deforma, adattandole, le personalità ed aggrava eventuali tare psicologiche che la famiglia, l'ambiente sociale e relazionale ( più che le esperienze negative personali, spesso banali, con le quali, non richiesti, ci si giustifica ) provocano. Ecco a noi la democratica, incolta e terrigna genesi di improvvisati pérvenus, così simili ai loro improvvidi clienti - ma al di quà della scrivania - e così servili con quelli di censo superiore. Gli uni cercano lo specchio della propria mediocrità, gli altri l'adusato servo encomio e il disbrigo delle loro faccende.
Il genio della stirpe - quanto è stato succhiato con il latte e nel proprio ambiente - il costume privato, frutto dell'educazione, si manifesta con chiarezza e vanifica gli schermi e le maschere indossate dei direttori/trici delle unità produttive e di vendita.
Gli uomini impersonano, nei loro atteggiamenti, una managerialità tradizionale, ma incappano in breve nell'incertezza che deriva dai calmierati stipendi in rapporto agli impiegati anziani e, soprattutto, nella considerazione inferiore alle aspettative che riservan loro i clienti, quando si sentono rispondere che i poteri attribuitigli non gli consentono di derogare a certe direttive superiori.
Non che le donne siano esenti da questo smacco, anzi ne soffrono di più in termini di vanità compensativa, ma spesso trovano nella "relazione" il surrogato allo scarso potere. Relazione d'interesse da entrambe le parti, di scopo e di modello.
Talvolta, se il cliente è, per questo aspetto, un fesso, si consegue l'obiettivo di status anulare, che rassicura sul piano sociale, professionale e di mantenimento di status. L'adeguamento al modello ambito, per chi non c'è nato, induce alla prosopopea, all'accaparramento dell'ambito territoriale ed al feudalesimo nei rapporti con i colleghi, trattati come vassalli, ai diversi livelli di utilità, spesso per farsene schermo e filtro della propria pigrizia, neghittosità, interesse e malafede.
Ma di maschi impropri e di femmine mancate abbiamo parlato anche troppo. E' opportuno accennare a quella invenzione della propaganda che sono i giovani. Di generazione in generazione vengono offerti modelli a chi si affaccia con intatte energie alla propria vita e che, invece di farne un capolavoro di autonomia, responsabilità e libertà, cerca di arrampicarsi sugli sdrucciolevoli modelli verticistici che la società, sempre ispirata da chi si succede al potere e nella ricchezza, attraverso i media e la politica, impone come inderogabili, anziché, come sarebbe accettabile, limitarsi a proporli. Da tutto ciò, la frustrazione di non essere in condizione di fottere e la diffusissima disponibilità ad essere fottuti. La protervia, sempre al potere, sembra ora accontentarsi di godere dell'umiliazione altrui; pensate alla mitologia degli eroi, che tanta carne da cannone ha procurato alle celebrazioni postume.
CFC, dopo un mio post a Milone, sollecitato da una autocelebrazione piuttosto infantile di due colleghi che, quando non indulgono alla retorica di regime/regolamento sono senz'altro valenti, con estrema cortesia, si lamentò dei toni e dei contenuti, a suo dire, tropo crudi e "fuori dalle righe". Mi ostino a considerarli, allegoricamente realistici.
L'espressione era tratta da una parodia del carrierista di Claudio Bisio, alla quale avevo assistito, quando l'attore era ancora poco noto, al Capolinea di Milano, in via Ludovico il Moro, appunto al capolinea del tram nr. 2. Il locale era reputato il migliore del genere cabarettistico, a Milano ed uno dei più accreditati in assoluto, anche se non godeva e non gode ( ammesso che esista ancora ) del volano televisivo. Ero ospite di amici, forse poco meritocratici. A tutt'oggi, alla luce della volgarità malamente dissimulata del manzonismo degli stenterelli di Pier Luigi Celli, la ritengo perfettamente calzante alla situazione specifica ed all'ideologia che si vuole instillare nella maestranze, di cui queste novelle "aziendalmente corrette" sono la periodica e costante conferma. Al fondato rilievo: "ma lei non ha letto il libro", ho sopperito.
Quale interesse, quale passione e quale responsabilità - mi chiedo - può esprimere chi è chiamato ad eseguire disposizioni ed a conseguire risultati, elaborati ed ordinati dopo analisi e concertazioni alle quali non ha potuto partecipare? Quale personalità sono sollecitati ad assumere i destinatari di queste incessanti iniziative? Di chi, in sostanza, ci si vuole valere e fino a quando? Come li considerano, in cuor loro, gli aspiranti sodomiti con ruolo - ma spesso senza inquadramento - manageriale? ( per non "ingessarsi" in caso di demansionamenti per obsolescenza delle competenze e declinar della passione? ).
Il libro di Celli illustra letterariamente una vita professionale all'insegna della nevrosi e nella quale i valori morali sono rovesciati e subordinati all'ambizione; un'ambizione che sottostima le conoscenze, le capacità e l'abnegazione e privilegia la lotta sporca, l'aggressività e lo spirito prevaricatorio.
Il testo è paradigmatico solo del management insediato e costituisce un'ipotesi di "etica" negativa per chi aspiri a farne parte, mano a mano che chi occupa le posizioni di maggior potere, inesorabilmente capitoli.
Pochi e selezionati fottitori e una massa dispersa che nome non ha, di fottuti.
L'unico pregio di Celli è la chiarezza, per altro non ignota alle masse subordinate, che, negli stessi termini, ma in una prospettiva diversa, hanno descritto e descrivono le evenienze possibili e quelle probabili della loro esperienza lavorativa.
Proporlo ad una platea indistinta di colleghi è stato, secondo me, un errore diseducativo, salvo non leggervi una o più intenzioni ammiccanti o minatorie ( o ammicantemente minatorie ).
Qualche anno fa, la saggistica riguardante il mondo del lavoro trattava prevalentemente dei movimenti sociali e delle problematiche macroeconomiche. Di questi tempi, idolatri del privato - meglio, del particulare - nonostante gli sconquassi che sta provocando ( soprattutto l'immiserimento e l'emarginazione di un numero crescente di lavoratori e di categorie sociali ), ecco la pubblicistica di nicchia, in tono falsamente scherzoso, compiaciuta di sé, nel gesto agli operai di Alberto Sordi ne I vitelloni, di Federico Fellini....prima che l'automobile si guastasse.
Che altro aggiungere, se non il tratto impressionistico ricavato dal flatus vocis di qualche giovane acronimo im missione, con ruolo di supervisore, nel quale l'assertività claudicante tradiva necessariamente non solo un deficit normale di esperienza, ma anche significative approssimazioni tecniche, bypassate in funzione del compito loro assegnato cioè del ruolo.
Sarebbe poi meglio stendere un pietoso velo sul taccheggiare autoritario di chi, per mostrare di essere nata in Credem, esce dalla sua tana e fa qualche passeggiata per vedere se tutti sono al loro posto e, se non li trova, invita gli astanti alla delazione. Che prende atto di tutto quello che viene dall'alto, ma che emargina - come è usa da sempre a fare - anche fisicamente, se non servono alla scenografia di accoglienza al pubblico, chi ha dovuto accettare, obtorto collo.
Sarebbe meglio consegnare all'oblio anche un sindacato che si arroga ancora la rappresentanza dei lavoratori, mentre invece surroga la debolezza della politica nel governo dell'economia e, nel campo suo proprio, si limita alla partecipativa ( corporativa ) cogestione delle ricadute sull'irregimentato personale.
Ormai, nelle aziende si lavora fuori da un quadro normativo coerente e sono un ricordo le dinamiche sindacali, contrattuali e retributive del sistema del credito. Sono stati imposti i criteri gestionali, organizzativi e di selezione del personale delle aziende industriali. Il Credem, da parte sua, essendo una partecipata di una multinazionale dell'abbigliamento, questi criteri li ha sempre praticati.
Il Tribunato della plebe, progenitore del moderno Sindacato, era, nell'antica Roma, una magistratura minore, ma pur sempre una magistratura e, quindi, "interna" al sistema.. Gli Edili erano magistrati, e il nome dice tutto. Con i "collegia funeraticia" gestivano le "pompe" funebri degli indigenti. Forti di una rappresentanza vasta, politicamente rilevante, agivano "di bulina" con i diversi regimi politici ai quali erano più o meno affini.
Se gli uni sono per gli altri dei meri strumenti e se l'azienda è l'ingenieristica della strumentalità, allora, sono costretto a convenirne: non si può eccellere, uscire "ex grege" e curarsi delle posizioni di svantaggio.
Gli eroi del nostro tempo sono i manager. Forse esagero, sono solo gli eroi di un periodo.
Dicono - ma non è vero - di essere pronti ad assumersi dei rischi; di sicuro, sono del tutto refrattari a sacrificarsi, in toto o in parte. L'eroe-manager, invece, è del tutto privo di scrupoli quando si tratta di sacrificare gli altri.
La dimensione sacrificale, tanto reale nell'esperienza delle maestranze, non appare mai nelle profezie aziendali. Invece che di lacrime e sangue, di demansionamenti, di cassa integrazione e di licenziamenti ( talvolta appellati esodi ) si ciancia di stimolare le passioni e di condividere dei valori.
Grazie ad una serie di giochi di prestigio, i discorsi manageriali, non sempre impeccabili riguardo alla grammatica e alla sintassi, cercano di far credere che il peso del sacrificio ricada sull'Olimpo dirigenziale e non sulle schiene dei lavoratori.
Diversamente dagli altri eroi classici, quando il manager ( e via, a scendere lungo la filiera degli imitatori ) compie un sacrificio, non è mai il suo, ma sempre quello degli altri. L'eroe che fotte è quello che riesce ad impadronirsi delle prestazioni altrui, a costo di ricorrere al bluff, alla menzogna e, sistematicamente, alla manipolazione.
Nonostante le indecenze economiche e soprattutto finanziarie, successive alla fine della guerra fredda ed alla caduta del muro di Berlino, che a tutti ed a ciascuno dovevano regalare libertà, prosperità ed opportunità, il verbo incantatore continua ad essere sparso "come la rena, quando turbo spira". Casomai, è possibile che, dovendo competere con realtà nuove per il mercato, ma meno strutturate e, certamente, a minor onere, la linea di resistenza si sia attestata sul contenimento di tutti i costi e quindi sulla multifunzionalità del ridotto personale e sulla sua selezione in rapporto ad una fedeltà - come per innanzi - ma priva di protezione contro l'obsolescenza ed i cicli economici negativi, oggi indotti spesso da una concorrenza accaparratrice, che lusinga con successo, solo sul prezzo. Chiunque potrà offrire un prodotto ad un prezzo sempre inferiore, in cambio di sempre meno o di niente, riguardo i servizi.
Se gli imperativi di questa caricatura ( per ora ) di regime continuano ad essere propalati, è perché, in questa età di mezzo, la democrazia politica e, di conseguenza, economica, si è molto indebolita e gli speculatori...speculano.
Verranno tempi migliori.
Lo spirito critico ci soccorra insieme ai comportamenti responsabili che ne discendano, per sfuggire al culto dell'immagine e delle sue figurazioni e per cogliere le riserve mentali che si celano dietro le parole.
Pier Paolo Castellari

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